Dal web 1.0 al web 2.0
Il web agli esordi o web 1.0
Sentiamo molto spesso di parlare di web, web 2.0, web n.0. Molti di noi tuttavia non conoscono bene il motivo di queste distinzioni. Cosa rende il web 2.0 tale? Per capirlo dobbiamo prima ricordare cosa fosse il web nella sua versione 1.0. Internet, al suo esordio, non era altro che un insieme di siti statici caratterizzati da collegamenti ipertestuali.
Le principali operazioni che si svolgevano erano sostanzialmente tre: la consultazione dei siti, la ricerca tramite motori di ricerca e l’invio/ricezione di email.
Il web 2.0
Verso i primi anni Duemila il web per come era sino ad allora conosciuto, ha conosciuto una evoluzione significativa.
Questa evoluzione ha riguardato almeno due fronti: da un lato i siti internet sono diventati più versatili e il modo di interagire con essi non si limitava alla consultazione. Si sviluppano in questo periodo infatti le web application. Internet quindi non diventa solo una raccolta di documenti online, ma anche lo spazio dove girano programmi anche di una certa complessità. Certamente questo è stato reso possibile anche da una maggiore velocità di connessione.
Dall’altro lato, la seconda caratteristiche del web 2.0 è il coinvolgimento dell’utente. Con il web 2.0 chiunque può avere un blog, aprire un profilo social, creare e caricare online contenuti. Proprio con il web 2.0 si può parlare di una identità virtuale che si accompagna a quella materiale degli individui. Sufficiente è pensare a quanta parte della nostra vita sia legata alla sfera virtuale: Facebook, il conto bancario, i rapporti con la Pubblica Amministrazione, lo shopping ecc.
Perché il Semantic Web o web 3.0?
Un’ulteriore evoluzione del web è il Semantic Web. Cosa significa? Diciamo, in prima battuta, che il web semantico è un web nel quale la ricerca di informazioni diventa più efficiente ed intelligente.
In che modo? Partiamo da quanto scrivono Silvana Castano, Alfio Ferrara e Stefano Montanelli nel libro Informazione, conoscenza e web per le scienze umanistiche. Nel Capitolo 12, che tratta proprio del web semantico essi scrivono:
Il Semantic Web nasce dalla […] dall’osservazione che il Web tradizionale è completamente orientato a un’utenza umana. […] il significato di una pagina web è demandato all’interpretazione del lettore, di cui si presuppone la conoscenza del linguaggio naturale in cui essa è scritta. Tuttavia, realizzare gli obiettivi di integrazione e interoperabilità auspicati dal Semantic Web significa rendere il significato di una pagina web accessibile ad una macchina, ovvero esplicito.
Vediamo di chiarire quanto affermato dagli Autori con un esempio molto semplice. Quando eseguiamo una ricerca su un motore di ricerca, questo ci presenta i risultati secondo l’algoritmo con cui è istruito (PageRank se utilizziamo Google). Senza entrare in tecnicismi, il risultato restituitoci saranno, in genere, le pagine dove occorre il termine. Non è affatto detto che il risultato sia soddisfacente: non è detto che quello che cerchiamo sia sempre il primo o tra i primi risultati. Questo è dovuto al fatto che la macchina non può interpretare e difficilmente può rispondere a domande puntuali. L’occorrenza delle parole non è l’unico criterio che gli algoritmi di ricerca utilizzano, ma nessuno degli altri in realtà comprende la semantica, che rimane demandata all’utente umano.
Come può il web 3.0 migliorare questo? Attraverso dichiarazioni semantiche esplicite dette annotazioni semantiche. In altri termini una pagina web è interpretabile dalla macchina perché le entità concettuali che essa ospita sono state definite esplicitamente ed anche le relazioni che intercorrono tra di loro.
Utilizziamo una metafora per cercare di rendere la differenza tra web attuale e Semantic Web. Immaginiamo di parlare con individuo che non parla la nostra lingua. Se questi mi farà una richiesta io capirò solo dopo diversi tentativi come soddisfare quella richiesta. Ad esempio potrebbe chiedermi di prendergli una tazza poggiata sul tavolo vicino indicandola. Io potrei non capire, potrei dover interpretare e fallire più volte fino ad avere successo dopo diversi tentativi e comunque non capirei nuove richieste. Il web tradizionale funziona nello stesso modo: le macchine non intendono la nostra lingua e sono le istruzioni degli algoritmi non semantici a cercare indizi e a proporci quello che quelli indizi suggeriscono.
Con il web 3.0 questo problema non sussiste: la “lingua” della macchina è istruita sulla semantica umana. Ad esempio, potrei chiedere chi è il padre di Ercole, il personaggio mitico, e ottenere la risposta Zeus. Non perché vi siano tante pagine online in cui c’è scritto “Ercole figlio di Zeus”, ma perché è definita la relazione “essere figlio di” tra Ercole e Zeus.
Questo implica che ogni informazione è poi collegata con tutte le altre. Zeus è il dio greco, la Grecia è quel certo stato europeo che si affaccia su Mediterraneo, ha una popolazione di tot ecc ecc.. Il web 3.0 non è più un web di documenti, ma un web di informazioni interconnesse rese significative e significanti da un’ontologia che ne costituisce l’intelaiatura semantiche.
Il web semantico poggia poi su alcuni linguaggi che approfondiremo via via. Uno di questi è XML che presentiamo in questo articolo.
Il semantic Web spiegato da Tim Berners-Lee
Al di là del presente articolo, forse il modo migliore per comprendere cosa sia il web semantico è ascoltare proprio Tim Berners-Lee e la sua Ted Talk. Ricordiamo che Tim Berners-Lee è l’ “inventore di internet”, quindi l’idea di un web semantico non è un’idea nuovissima. Lo stesso Berners-Lee scrisse nel 2001 sulla rivista American Scientific
Il Semantic Web è un’estensione dell’attuale Web, nella quale all’informazione viene dato un significato ben definito, permettendo così ai computer e alle persone di lavorare meglio in cooperazione.