Il test di Turing: le macchine possono pensare?

Rappresentazione del Test di Turing

In questo articolo introduciamo e presentiamo il famoso test di Turing, ideato dall’omonimo matematico britannico. Il test è stato anche oggetto del film Ex Machina, di cui vi abbiamo parlato qui.

La storia del test di Turing

Il test di Turing ha importanti prodromi filosofici. Potremmo avanzare la tesi che già dal Seicento il concetto di automa (letteralmente “che si muove da sé”) aveva trovato il suo spazio nella riflessione filosofica.  Il filosofo francese René Descartes (Cartesio), era dell’idea che gli animali fossero automi, ovvero creature prive di anima, intendendo con quest’ultima una mente.

Procedendo nei secoli tuttavia, e in risposta alla crisi dei fondamenti della matematica avvenuta nell’Ottocento, filosofi, matematici e logici hanno iniziato a interrogarsi sulla natura più profonda della logica e del ragionamento umano.

Pochi decenni dopo, grazie ai risultati raggiunti nei campi della logica matematica, la comunità scientifica era già pronta a porsi la seguente domanda: Può una macchina pensare?

Turing rispose alla domanda nel 1950, con l’articolo Computer Machinery and Intelligence, pubblicato sulla rivista Mind.

Computing Machinery and Intelligence - Alan Turing
Computing Machinery and Intelligence, 1950, Mind – Alan Turing

Il gioco dell’imitazione

Come possiamo rispondere alla precedente domanda? L’idea alla base del test di Turing, descritta nell’articolo, era che, per giudicare una macchina “intelligente” non dobbiamo valutare tutto un set di abilità, difficili da definire ancora oggi.

L’idea è quella di mettere in piedi quello che il matematico ha definito il gioco dell’imitazione. Il test di Turing si basa sostanzialmente sul dialogo. Un interrogatore umano viene posto in una stanza da solo. In una seconda stanza vi è un computer programmato per intrattenere conversazioni. In una terza c’è un altro essere umano.

L’interrogatore ha 5 minuti per intrattenere una discussione sia con il computer che con l’altro essere umano ma, ovviamente, non sa chi ci sia effettivamente nelle altre stanze.

Rappresentazione del Test di Turing
Rappresentazione del test di Turing

Dopo le due conversazioni, l’interrogatore, sulla base delle conversazioni avute, giudicherà quale dei due interlocutori sia umano e quale no.

L’idea alla base del test pertanto, si basa sulla capacità della macchina di “ingannare” – o meglio confondere-  l’interrogatore umano. Questa confusione si basa ovviamente sulla possibile indistinguibilità tra uomo e macchina nel contesto del dialogo.

Turing stesso aveva molta fiducia nel suo test e nel futuro sviluppo tecnologico. Il matematico nel 1950 dichiarò che:

Credo che nel giro di cinquant’anni circa sarà possibile programmare i computer […] in grado di giocare così bene al gioco dell’imitazione che un interrogatore medio non avrà più del 70% di probabilità di compiere la corretta identificazione dopo cinque minuti di interrogatorio.

Critiche al test di Turing

Il test non è ovviamente immune a critiche. Innanzitutto non è chiaro chi sia l’interrogatore medio. Ai tempi di Turing, nella prima metà del Novecento, il concetto di calcolatore non era certamente diffuso come oggi. Tuttavia, anche oggi non sapremmo ben definire cosa si intenda per medietà dell’interrogatore.

Quali competenze e quali familiarità sono richieste per essere un interrogatore medio? Rispondere a questa domanda non è facile: la maggior parte degli adulti nel 2019 non ha esperienze di programmazione e non sa cosa sia il pensiero computazionale. Queste conoscenze e competenze sono solo di recente entrate nei curricula studiorum dell’istruzione obbligatoria.

Altre critiche riguardano l’approccio stesso di Turing. L’informatico olandese Edsger Dijkstra, reputano l’approccio di Turing basato su una questione mal posta e poco interessante. A Dijkstra si lega la seguente citazione:

Chiedersi se un computer possa pensare non è più interessante del chiedersi se un sottomarino possa nuotare.

Un’ultima critica che potrebbe essere mossa è che, in realtà, il gioco dell’imitazione non risponde genuinamente alla domanda se le macchine possano pensare – ammesso che questa domanda oggi sia ancora rilevante. Il test infatti non si basa sua alcuna definizione di cosa sia l’intelligenza, nozione che anzi viene bypassata. L’attribuzione di un comportamento intelligente ad una macchina poggia totalmente sul giudizio dell’interrogatore, in una circostanza di verifica opportunamente ingegnerizzata.

Il premio Loebner

Il test di Turing continua a sollevare molto interesse. Ne è prova il premio Loebner che si tiene annualmente.  Nella competizione si esegue – con qualche variante alle regole originali –  il test. Il vincitore è il chatterbot che riesce a “ingannare” meglio gli interrogatori.

La medaglia Loebner, assegnata ai vincitori dell'omonimo premio
La medaglia Loebner, assegnata ai vincitori dell’omonimo premio