In questo articolo trattiamo le tematiche della paleopatologia e paleomedicina seguendo il testo Compendio di storia della medicina degli autori Erwin H. Ackerknecht e A. H. Murken.
Indice
Cosa è la paleopatologia?
Se si volesse tracciare una storia della medicina dalle prime documentazioni storiche, plausibilmente un buon punto di partenza sarebbero i papiri egiziani di 4000 anni fa.
Tuttavia è possibile spingersi anche oltre. Oltre a documenti storici, è possibile fare ricorso ad tipi di fonti differenti e preistoriche. Questo è il caso della paleopatologia, ovvero lo studio di reperti ossei fossilizzati, mummie e, in generale, tutti quei reperti che precedono fonti scritte (pertanto storiche). La paleobiologia mutua molte delle sue metodologie dalla paleontologia.
Una grande difficoltà che la paleopatologia incontra è legata alla frammetarietà di queste fonti, dovuta alla rarità della fossilizzazione delle ossa e alla ancor più rara fossilizzazione dei tessuti molli.
Le malattie sono antichissime
Sebbene queste fonti siano rare e frammentarie, il quadro generale che esse ci raccontano mostra inequivocabilmente che le malattie sono antiche quanto gli esseri viventi e che molte delle malattie più comuni sono rimaste invariate per milioni di anni.
Facciamo alcuni esempi:
- i fossili di conchiglie di 350 milioni di anni fa indicano chiaramente traumi e la presenza di parassiti;
- lo stesso vale per la megafauna mesozoica, dominata dai dinosauri. I ritrovamenti dei paleontologi indicano come anche questi animali soffrissero di artrite cronaca, infiammazioni ossee, tumori benigni, osteoperiostiti, osteomieliti e carie dentale.
- Anche i mammiferi preistorici, diffusisi enormemente dopo la dipartita dei dinosauri, mostrano segni di artrite
Paleopatologia umana
Il genere homo, ed i suoi predecessori, non erano certamente immuni dalle malattie. Il primo ominide noto – e come tale sarebbe rimasto per decenni – fu il Pitecantropo, scoperto da Eugène Dubois (1858-1940) a Giava nel 1891. Tale ominide, risalente a circa 500000 anni fa, presentava chiari segni di esostosi al femore. Ancora, un parente molto prossimo all’Homos sapiens, l’uomo di Neanderthal, presenta segni di artrite.
Le scoperte fatte grazie alle mummie egizie
Le mummie egizie sono un eccezionale strumento per la paleopatologia, poiché esse conservano altri tessuti oltre quello osseo. Uno degli studi più approfonditi su di esse fu effettuato nella prima metà del Novecento da tre studiosi inglesi Armand Ruffer, Grafton Elliot Smith e Frederic Wood Jones.
Grazie al loro studio, che ha coinvolto l’analisi certosina di 36000 mummie, si è scoperto che gli antichi Egizi soffrivano di disturbi e malattie come paralisi infantili, tubercolosi dell’articolazione dell’anca e della colonna vertebrale, piede varo, tumori e osteoporosi della scatola cranica. Quest’ultima è molto rara nella popolazione europea.
Accanto a queste malattie ossee, l’analisi dei tessuti non ossei ha permesso di annoverare tra le malattie sofferte dagli antichi Egizi anche arteriosclerosi, infiammazione polmonari, dell’intestino cieco, della pleura. A questi disturbi si aggiungono poi calcoli renali e biliari e scistosomiasi, un tipo di verminosi parassitaria.
America del sud: le mummie peruviane
In America del Sud, importanti studi di paleopatologia sono stati svolti da Antonio Requena e William Thomas Ritchie. Questi studi hanno evidenziato la presenza di tubercolosi della colonna vertebrale, indizi di sifilide, artrite, broncopolmonite e silicosi.
Si deve notare tuttavia che la frequenza e la distribuzione di queste malattie non coincide in maniera esatta tra popoli lontani e disgiunti, come Egizi e Peruviani antichi. Questo è un bene, poiché queste differenze gettano luce sulle differenze sulla “storia clinica” delle varie popolazioni.
Le prime testimonianze di paleomedicina: le trapanazioni craniche
Un alto campo vicino alla paleopatologia è certamente la paleomedicina. Essa consiste nello studio delle pratiche mediche durante la preistoria. Come nel caso della paleopatologia, anche la paleomedicina deve affrontare la sfida della frammenteriatà dei suoi materiali.
Ritrovamenti di grande importanza per la paleomedicina sono le trapanazioni craniche. I reperti ossei del Neolitico indicano infatti che diverse civiltà operavano – a volte con successo – operazioni di trapanazione della scatola cranica.
Questi crani furono studiati per primo dal chirurgo ed antropologo francese Pierre-Paul Broca (1824-1880). Analizzando i teschi trapanati, avanzò l’ipotesi che queste operazioni avessero come scopo la liberazione del paziente dagli spiriti maligni che provocavano disturbi come epilessia o cefalea. Sebbene quest’ipotesi sia stata contestata, alcuni elementi fanno propendere per essa:
- l’utilizzo dei dischetti d’osso rimossi durante l’operazione di trapanazione come amuleti;
- la segretezza con cui le tecniche di trapanazione venivano tramandate.
In conclusione, questi interventi, pur avendo intenti terapeutici, non sono assimilabili agli interventi concreti che oggi vengono compiuti in chirurgia. Se sposiamo la tesi di Broca, dobbiamon concludere che le trapanazioni fossero più simili a rituali magici che a operazioni chirurgiche basate sulla conoscenza del corpo umano.