In questo articolo trattiamo l’età dei Gracchi, fratelli e tribuni della plebe promotori di una riforma agraria, tra il 133 al 121 a.C.
Indice
Roma padrona del Mediterraneo: aspetti economici e sociali
Un nuovo orizzonte commerciale
Con le Guerre Puniche, Roma era diventata la dominatrice del Mediterraneo. La Repubblica, sino ad allora eminentemente agricola, avrebbe potuto adesso affacciarsi su tutto quell’importante bacino, e dare così vita a commercio. Le varie conquiste, inoltre, avevano permesso alle casse di Roma di arricchirsi con gli indennizzi imposti a vinti e con le tasse riscosse dai popoli soggiogati. Tutta questa ricchezza ebbe un certo impatto sulla struttura sociale di Roma. I Romani erano stato, sino ad allora, un popolo per lo più legato alla terra e, dunque all’agricoltura. L’apertura dell’orizzonte mediterraneo aveva fatto nascere nuove figure legate al commercio. Tra questi i negotiatores, per lo più di estrazione equestre, si arricchirono significativamente. Sebbene, la lex Claudia del 218 a.C. avesse imposto ai senatori il divieto di commerciare, essi riuscirono comunque ad arricchirsi mediante l’esercizio di attività bancarie di prestito.
Crisi della piccola proprietà terriera e spostamento verso la città
Oltre ai capitali, a Roma era arrivata, in gran quantità, la manodopera schiavile e di ingenti quantità di frumento, soprattutto dalla Sicilia, che sarebbe poi divenuta il granaio di Roma. La parte sociale che più fu danneggiata da questi mutamenti fu certamente quella dei piccoli proprietari terrieri. La quasi totalità di essi, avendo servito come milites durante le guerre, aveva dovuto trascurare la coltivazione dei campi. Una volta tornati, in aggiunta, le nuove possibilità di commercio avevano indirizzato la produzione verso beni come olio, vino e bestiame, bisognosi di estensioni molto grandi, ben superiori ai piccoli poderi del romano medio. Nasceva quindi il modello della villa rustica, una grande “azienda agricola” in cui lavoravano gli schiavi. Molti piccoli proprietari terrieri, non riuscendo a reggere la competizione, si trasferirono nelle città in cerca di un impiego.
Le rivolte servili e la divisione dell’aristocrazia tra optimates e populares
Il massiccio impiego di manodopera servile e le terribili condizioni di lavoro degli schiavi, furono la base di molte rivolte, soprattutto in Sicilia, in due periodi, tra il 140 e il 132, e poi ancora tra il 104 e il 100. Gli sconvolgimenti portati sul piano sociale, non per ultime le rivolte degli schiavi, finirono col causare una divisione all’interno della stessa aristocrazia in due fazioni:
- da un lato gli optimates, i boni viri (“gente dabbene”), aristocratici di stampo tradizionalista, che si richiamava alla tradizione degli avi e ai valori del Senato e della Repubblica. Possiamo definire questa fazione come quella conservatrice, intenzionata a mantenere lo status quo e, pertanto, la sua condizione di privilegio.
- Dall’altro lato i populares. Sempre di estrazione aristocratica, i popolari erano però più attenti alle esigenze del popolo romano e possiamo classificarli come riformisti. A questa fazione appartenevano i Gracchi, Tiberio e Caio.
I Gracchi
La questione dell’ager publicus
Le conquiste avevano comportato anche un’immensa estensione del demanio statale. Lo Stato lasciava occupare ed utilizzare porzioni del suo demanio a cittadini privati, non solo romani ma anche anche federati della penisola, dietro il pagamento di un canone (vectigal). Lo Stato poteva in ogni caso revocare l’uso di quei terreni discrezionalmente. La crisi della piccola proprietà terriera favorì quelle classi, come quella senatoria, che disponeva di liquidità. Si andarono pertanto a creare dei veri e propri latifondi.
Ancor prima dei Gracchi, già dal 145 a.C. il console Caio Lelio, amico di Scipione l’Emiliano aveva cercato di introdurre una legge che limitasse l’estensione di demanio pubblico che poteva essere occupato pro-capite. Dovette desistere dal portare avanti questa riforma poiché incontrò l’inamovibile opposizione dei senatori. Del resto, questi ultimi, erano coloro i quali beneficiavano maggiormente dell’assenza di quel limite.
Tiberio Sempronio Gracco
Il primo dei fratelli Gracchi, fu Tiberio, figlio di Cornelia e pertanto nipote di Scipione l’Africano. Tiberio, tribuno della plebe nel 133 a.C., fu molto attento ai bisogni dei piccoli proprietari terrieri ridotti in miseria dai nuovi latifondi. Analizziamo la riforma proposta da Tiberio per punti:
- limite di 500 iugeri per individuo ai quali si potevano poi aggiungere 250 iugeri per ogni figlio, ma non oltre i 1000 iugeri per famiglia;
- la formazione di una commissione, un collegio di triumviri (tresviris agris dandi iudicandis adsignandis) che si sarebbe dovuta occupare di redistribuire le terre, divise in lotti da 30 iugeri, da dare ai poveri.
- la riforma sarebbe stata finanziata grazie al tesoro donato da Attalo III, re di Pergamo e alleato di Roma, morto senza eredi.
Seppur con molte difficoltà la legge Sempronia fu approvata. Il clima di ostilità nei confronti del maggiore dei Gracchi non fece che aumentare. Tiberio, temendo per la propria vita, cercò di farsi nuovamente eleggere nuovamente tribuno, per conservare l’inviolabilità della propria persona (sacrosanctitas). Tuttavia l’opposizione insinuò che questa candidatura fosse sorta dalle ambizioni di potere di Tiberio, che fu ucciso da un gruppo di senatori durante i comizi elettorali.
Caio Gracco
Il secondo dei Gracchi fu Caio Gracco. Già componente della succitata commissione, egli contribuì a potenziare la riforma del fratello nei modi seguenti:
- Aumento dei poteri della commissione;
- formazione di nuove colonie;
- calmiere frumentario;
- limitazione del potere senatoriale, integrando gli equites nelle magistrature giudiziarie e nei tribunali addetti ai processi di concussione e danno erariale.
Caio si assentò da Roma per fondare a Cartagine una nuova colonia. Della sua assenza approfittò l’oligarchia senatoria che, anche grazie al tribuno della plebe Marco Livio Druso, minò la popolarità di Caio. Quest’ultimo non riuscì a farsi rieleggere nel 121 a.C. Caio fu pertanto isolato politicamente sino ad essere considerato – strumentalmente – un nemico dello Stato. Quando seppe che il console Lucio Opimio aveva dato l’ordine di uccidere lui e i suoi seguaci, Caio si fece uccidere da un suo schiavo.
Dopo la morte dell’ultimo di Gracchi, la riforma, che effettivamente risolveva problemi di carattere economico e sociale, pur a detrimento degli interessi dei senatori, fu gradualmente smantellata.
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