In questo articolo esponiamo il pensiero di Platone, uno dei maggiori filosofi greci, fondatore dell’Accademia e noto per la dottrina delle idee.
Indice
Biografia e opere
Biografia
Opere
Prima di presentare il corpo delle opere di Platone e i criteri mediante i quali esse sono state classificate, è necessario, anche al finne di comprendere meglio il rapporto tra Platone e Socrate, dire qualcosa intorno alla concezione della scrittura.
Non è un caso che Socrate non abbia lasciato nulla di scritto. Platone infatti, nel Fedro, verso la fine dialogo dedicato
all’eros, presenta l’idea secondo la quale la parola scritta di per sé, pur inducendo coloro i quali leggono molte opere a potersi definire sapienti, non stimola la ricerca filosofica, che va intesa, per l’appunto, come un continuo dialogo tra gli uomini.
Platone spiega ciò servendosi del mito del dio egizio Theuth spiega questa concezione della scrittura. Anche le opere di Platone, quasi tutti dialoghi, vogliono in qualche modo rendere un tributo a questa idea del maestro.
Divisione delle opere
Venendo alla divisione delle opere del corpus platonico, esse hanno ovviamente sollevato diverse questioni tra gli studiosi. Tuttavia una divisione tra esse risulta essere oramai classica ed è quella che divide le opere in base al periodo. La riportiamo appena sotto:
- Primo periodo: Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Ione, Ippia maggiore, Ippia minore, Lachete, Liside, Carmide, Alcibiade maggiore, Alcibiade minore, Protagora, Gorgia.
- Periodo intermedio: Menone, Eutidemo, Menesseno, Cratilo Simposio, Fedro, Repubblica, Fedone.
- Terzo periodo: Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi.
La dottrina delle idee
Il primo periodo è per lo più legato alla difesa e alla celebrazione della figura di Socrate e alla polemica contro i sofisti, visti come dei mercenari del sapere. Al secondo periodo (Menone) si fa generalmente risalire la
dottrina delle idee. La dottrina delle idee e la sua genesi devono essere comprese anche alla luce della polemica tra Platone e il relativismo sofistico, polemica che si riallaccia alla ricerca socratica della definizione.
Se le cose del mondo sono in effetti mutevoli e instabili, allora è impossibile farne scienza, ovvero una conoscenza vera e fondata, perfetta. Ma, dato che, in opposizione al relativismo gnoseologico dei Sofisti, la scienza si dà, allora essa deve avere per oggetto delle entità che sono perfette. Tali entità perfette sono le idee. Ora, secondo Platone, tutte le cose del mondo non sono che copie imperfette delle idee: due cani differenti – ammettiamo un pastore tedesco e un Jack Russell – pur essendo entrambi differenti tra loro tutta via, in quanto cani, partecipano dell’idea di caninità.
La dottrina delle idee come ponte l’eraclitismo e l’ontologia parmenidea
A questo punto è necessario notare come la dottrina delle idee, oltre a rappresentare un punto di opposizione con il relativismo sofistico, costituisca anche una sintesi tra il pensiero di Eraclito e quello di Parmenide. Da un lato infatti Platone, come Eraclito, riconosce al mondo quel carattere transeunte, mutevole, instabile. Dall’altro, è facile ravvisare che le idee platoniche hanno molte caratteristiche in comune con l’essere di Parmenide: esse sono infatti semplici, imperiture, sempre uguali a se stesse. Sempre sulla scia parmenidea, anche per Platone di ciò che è mutevole e imperfetto non si può dare scienza, ma solo opinione. Invece la scienza è possibile solo e soltanto, come si è già detto, quando il suo oggetto sono le idee.
Classificazione e gerarchia delle idee
È tuttavia abbastanza chiaro che le idee, a differenza dell’essere parmenideo, sono molteplici. Tale pluralità non deve essere intesa come disorganizzata. In Platone infatti troviamo una classificazione ed una gerarchia delle idee. In questa gerarchia il primo posto è occupato dall’idea del Bene, l’idea che rappresenta la più fulgida perfezione. L’idea del Bene è la regina di quelle idee che corrispondono a valori, come virtù, giustizia, bellezza.
Vi sono poi le idee matematiche. Essendo le nozioni matematiche astratte, e con ciò prive di un diretto corrispettivo nel mondo reale, Platone immaginò che esse dovessero appartenere a quello ideale. Vi sono, infine, le idee di cose naturali, come appunto l’idea di cane.
Le idee e la gnoseologia platonica
Nello scorso paragrafo si è affermato che Platone introdusse la dottrina delle idee come contromisura al relativismo gnoseologico della sofistica. Ed in effetti se la scienza, come sapere fondato e veritiero rispetto all’opinione, deve darsi allora vi deve essere un elemento che trasmette ad essa tutta la sua verità e la sua stabilità. Si tratterà pertanto di comprendere attraverso quali modalità le idee, secondo Platone, riescono a svolgere questo ruolo di garanti fondamentali della scienza.
Innanzitutto bisognerà chiedersi quale rapporto vi sia tra le idee e gli autori della scienza, cioè gli uomini. In che modo conosciamo le idee? Qual è il rapporto degli uomini con le idee? La risposta di Platone è che gli uomini conoscono le idee grazie ad una facoltà intuitiva. Più precisamente Platone sostiene che l’anima umana, che è immortale, prima di incarnarsi in un corpo, abbia la possibilità di contemplare le idee e la loro perfezione nell’Iperuranio. Tale contemplazione imprime nell’anima un ricordo che, nell’incarnazione viene sopito. Il ricordo può essere poi risvegliato mediante i sensi o mediante il ragionamento.
Problemi della gnoseologia platonica
Tre problemi particolari…
Ora risulta chiaro che questo tipo di risposta presenta non pochi problemi. Innanzitutto relega il ruolo gnoseologico delle idee, nonché la loro esistenza, a elementi più mistico-religiosi che razionali: infatti le anime contemplano le idee tra un incarnazione e un’altra. Ma la metempsicosi non può essere oggetto di trattazione razionale.
In secondo luogo viene postulata un’anima immortale, ed anche in questo campo la speculazione fondata non può spingersi molto in là.
In terzo luogo, se si pone una certa attenzione, affermare che le idee esistono nell’Iperuranio, regione ideale e perfetta, non è dire molto di più rispetto ad affermare che gli uomini sono capaci di scienza come forma di sapere fondata e veritiera. Affermare che le idee, in quanto perfette, abitano un luogo anch’esso perfetto e di conseguenza quando l’anima disincarnata contempla/ha intuizione, di quella perfezione poi, una volta incarnata è in grado di fare/ottenere/ricordare scienza può essere una spiegazione, ma non può ambire ad essere una spiegazione filosofica secondo gli standard moderni.
…e un problema generale
Si potrebbe dire, invece, che la dottrina delle idee sia una grande petitio principii in cui, per combattere il relativismo
sofistico, si afferma la fondatezza e la veridicità della scienza, solo che questa viene poi spiegata attraverso un iter più mitologico che razionale che di per sé non spiega di fatto come sia possibile la scienza.
Anche al livello del rapporto tra le idee e mondo, Platone cerca di dare qualche specifica ulteriore, parlando di metessi, parusia o mimesi, ma di fatto non giunge mai a dare una caratterizzazione che egli stesso abbia ritenuto soddisfacente. Come scrive Francesco Fronterotta:
Bisogna probabilmente concluderne che, pur rimanendo convinto della necessità di una relazione causale tra i sensibile e l’intellegibile, […] per giustificare la natura, la disposizione e l’ordine, per quanto temporanei e parziali, del mondo fisico, Platone non abbia tuttavia ritenuto di essere giunto a spiegare in una forma definitiva e soddisfacente le modalità di tale relazione le modalità di tale relazione, se ancora in uno degli ulteriori dialoghi, il Timeo, egli si astiene dal fornire un’illustrazione dettagliata, limitandosi a sostenere che essa è “difficile a dirsi e stupefacente […] assai complicata e difficile da concepire1.
Questa riflessione critica sulla dottrina delle idee non vuole né potrebbe ridimensionare la statura del filosofo ateniese: se si ritiene che egli, insieme al maestro Socrate ed al discepolo Aristotele, sia una delle vette più alte del pensiero filosofico occidentale ai suoi esordi. È sufficiente infatti riflettere su quanto il platonismo abbia influenzato la filosofia cristiana, con la tematica di un mondo ultraterreno (Iperuranio) e la concezione di un’anima immortale, e la filosofia della matematica. Secondo il matematico britannico Alfred North Whitehead, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, coautore insieme a Bertrand Russell dei Principia Mathematica:
Tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone.
Le idee e la filosofia politica
L’introduzione della dottrina delle idee non ha soltanto un valore gnoseologico, ma anche, e si potrebbe dire soprattutto, pratico-politico. Il relativismo sofistico, nemico giurato della filosofia platonica, ha infatti un enorme potenziale anarchico dovuto alla equipollenza teoretica di tutte le opinioni per quanto lontane e differenti tra loro.
Ovviamente così non è, e solo chi è sapiente, il filosofo, è il portatore della verità, poiché egli riesce a conoscere l’idea del Bene, l’idea più alta tra tutte, che Platone caratterizza come
[. . . ] al di là della sostanza e superiore ad essa per dignità e potenza.
Chi la conosce non può inoltre commettere volontariamente errori, e di conseguenza è il candidato più giusto per governare la città. L’idea del Bene, che non viene mai effettivamente definita da Platone, viene paragonata al
sole.
Il mito della caverna
Nella Repubblica Platone introduce quello che è forse il suo mito più famoso, il mito della caverna è che riguarda e spiega Il mito allegoricamente appunto la distinzione tra opinione e verità, della caverna insieme a molti altri elementi.
Nel mito della caverna Platone racconta di alcuni schiavi imprigionati in una grotta con lo sguardo rivolto verso la parete di quella. Su di essa si proiettano delle ombre, poiché, dietro gli schiavi imprigionati vi sono degli individui che trasportano delle statue. Le ombre che i prigionieri vedono sono proprio quelle delle statue illuminate dal sole. Uno degli schiavi prigionieri riesce a liberarsi dalle catene e rivolge lo sguardo alle statuette, comprendendo
come le ombre non fossero che entità derivate dalle statuette stesse. Ma ciò non basta: lo schiavo esce dalla spelonca per rendersi conto, dopo essersi abituato alla luce del sole, che il ‘vero’ mondo è quello all’esterno della caverna. Desidera quindi tornare a diffondere la verità tra i suoi compagnia ancora imprigionati, ma temendo che essi lo avrebbero preso per pazzo, cosi assuefatti alla limitata realtà proposta loro da una vita di prigionia, lo avrebbero ucciso, rimane fuori a contemplare il sole che illumina il mondo.
Simbologia del mito della caverna
Questo è sicuramente il mito più importante e significativo di Platone. Innanzitutto si può sostenere che l’idea del Bene sia simboleggiata dal Sole, mentre la caverna è il mondo terreno a cui noi siamo legati dalle catene dei nostri impulsi e passioni irrazionali. Inoltre le statuette e le loro ombre rappresentano le opinioni e le false credenze, a cui si contrappone il mondo illuminato dal sole-idea del Bene-verità. La parte finale del mito, quella riguardante il possibile ritorno dello schiavo che ha contemplato il vero mondo – e che dunque è il filosofo
– simboleggia la finne di Socrate, processato e giustiziato da uomini indegni che non hanno saputo vedere la verità. Quest’ultima parte sta ad indicare anche l’amarezza di Platone nei confronti della politica ateniese a lui contemporanea ed il suo conseguente distacco.
Importanza del mito della caverna
In conclusione l’importanza del mito della caverna rappresenta e concentra attraverso una bellissima immagine i motivi fondamentali della filosofia platonica: la gnoseologia, l’ontologia basata sulla dottrina delle idee, la concezione della filosofia e la missione – di guida politica – del filosofo, il solo capace di contemplare la verità illuminata dall’idea somma del Bene.
Noocrazia, divisione in classi e comunismo platonico
L’intento della Repubblica è quello di definire il concetto – o si potrebbe dire l’idea – di giustizia. La definizione della giustizia è necessaria al fine di evitare l’anarchia e la violenza originate da un pluralismo di opinioni equipollenti che discenderebbero dal relativismo sofistico.
La giustizia e la divisione in classi
Ora, per giustizia, si deve intendere la situazione dello stato in cui ogni cittadino attende ordinatamente al compito che gli è proprio. Esistono, per Platone, tre tipi di individui, a cui corrisponderanno tre classi nello stato giusto. Al vertice vi sono i filosofi o custodi che, secondo l’ideale noocratico o sofocratico di Platone, devono governare la città. Nel loro animo prevale la componente razionale (testa) e di conseguenza essi sono saggi e a loro compete il governo della città. Essi sono gli unici a conoscere l’idea del Bene, l’idea somma, e seguendo questo principio essi devono governare.
Subito sotto di loro vi sono i guerrieri, o guardiani. A questa classe appartengono gli individui nella cui anima prevale la componente coraggiosa (il cuore): il loro compito è quello di salvaguardare lo stato e la sua sicurezza.
Infine vi è la classe dei produttori, tutti coloro i quali sono impegnati in attività utili al sostentamento materiale (agricoltori, pastori, allevatori, pescatori, mercanti, artigiani, scultori ecc.), nel cui animo prevale la componente del desiderio (pancia). Questa classe si occuperà di mantenere economicamente le due precedenti. I guardiani e i produttori dovranno poi dimostrare di possedere la temperanza, ovvero dovranno concordare nella delega ai filosofi del governo della città.
Giustificazione della divisione in classi
La divisione in classi è giustificata da Platone mediante due considerazioni: in primo luogo è evidente che uno stato abbia bisogno di sicurezza, compito dei guardiani, e di una certa struttura economica, compito dei produttori, oltre ad essere guidato da un élite competente. In secondo luogo Platone afferma che nell’animo di ciascun individuo prevale una certa componente e che in base alla prevalenza di quella componente l’individuò sarà più atto a governare sapientemente, a difendere lo stato o a contribuire alla sua economia. Queste attitudini non sono ereditarie e la divisione in classi di Platone non va intesa come rigida alla stregua delle caste della società indiana.
Il comunismo platonico
In ultimo va considerato il comunismo platonico: saggi e guardiani non dovranno possedere beni privati, ma dovranno con dividere il necessario per una sussistenza dignitosa, mai rivolta all’eccesso. I produttori possono invece godere della proprietà privata.
Il comunismo dei mezzi di sussistenza si estende a quello delle donne. Non vi sono rapporti di monogamia duratura; le donne sono in comune, così come è in comune la prole: i figli sarebbero stati figli di tutti, strappati dai genitori sin dalla nascita, di modo che legami familiari egoistici non avrebbero potuto minacciare l’unità dello stato. I matrimoni e la procreazione sarebbero stati regolamentati da criteri eugenetici.
L’eros platonico
Sempre al secondo periodo della produzione di Platone appartiene il tema dell’eros. Esso è trattato nel Convito (o Simposio) e nel Fedro, dialoghi molto apprezzati anche perché stilisticamente rappresentano delle vette tra gli scritti del filosofo ateniese.
Il Convito tratta dell’oggetto dell’amore. Per bocca di Socrate, Platone afferma che l’oggetto dell’amore è la bellezza.
Tale bellezza viene desiderata dall’uomo ed essa conosce diversi gradi: dalla semplice ammirazione della bellezza di un corpo si passa ad ammirare la bellezza dell’anima, poi quella delle istituzioni, poi quella delle scienze ed, infine, la bellezza in sé, che è appunto l’idea della bellezza, cui ogni altra forma di bellezza partecipa.
Il mito della biga alata
Nel Fedro invece viene affrontata la questione di come l’anima possa passare attraverso i diversi gradi di bellezza, dal più infimo al più sommo. Anche in questo caso Platone si serve di un mito, quello della biga alata. In questo mito Platone paragona l’anima ad una biga tirata da due cavalle alate, una bianca, che rappresenta la ragione, ed una nera, che rappresenta l’istinto. Colui che guida la biga cerca di far prevalere la cavalla bianca che si dirige verso l’iperuranio dove si possono contemplare le idee. Tuttavia queste possono essere contemplate solo per poco, perché ad un certo punto prende il sopravvento la cavalla nera, che porta l’auriga verso il basso.
Tale dirigersi verso il basso simboleggia la caduta e l’oblio che l’anima vive quando si incarna in un altro corpo. La bellezza diventa quindi la caratteristica che più di ogni altra, dopo l’oblio, permette all’anima di ricordare e nel far ciò di elevarsi. Ovviamente solo chi ha un’attitudine filosofica di un certo calibro – coloro i quali hanno un animo in cui prevale la componente razionale – riescono poi ad attraversare i vari gradi di bellezza. La ricerca della bellezza più pura si identica poi per Platone con la vita filosofica.
Lo scontro con Parmenide
Il terzo periodo della produzione di Platone segna una profonda revisione della sua opera da parte dello stesso filosofo. Uno dei problemi fondamentali della teoria delle idee, accennato già nel Parmenide, ma che trova la sua trattazione più propria nel Sofista, è il confronto con la logica eleatica. Come sappiamo, per Parmenide, il non essere non può esistere. Questa tesi ha tuttavia una diretta conseguenza anche sulla teoria delle idee. Le idee sono difatti molteplici, di conseguenza una non è l’altra. Ora, se il non-essere non può essere, allora non è ammissibile che vi sia una molteplicità di idee. Del resto, l’essere parmenideo è concepito non a caso come unico.
Il parmenicidio
Platone, nonostante questa obiezione proveniente da un maestro ‘terribile’ come Parmenide, ha intenzione di conservare le idee e la molteplicità di esse. Innanzitutto ogni idea è, e dunque è essere. Ciò che Platone sostiene è che quindi Parmenide abbia confuso l’essere diverso con il non essere. Dal punto di vista linguistico questa critica si può tradurre affermando che quando parliamo di un oggetto A e di esso diciamo che non è l’oggetto B, non vogliamo certo intendere che l’oggetto A, in quanto non-B, non esista, ma intendiamo semplicemente che l’oggetto A è diverso dall’oggetto B, pur esistendo entrambi. Di conseguenza, in Platone, parlare del diverso non equivale
a parlare, come in Parmenide, del non-essere.