In questo articolo esponiamo il pensiero di Anselmo d’Aosta, filosofo cristiano noto per le due prove dell’esistenza di dio.
Indice
Cenni biografici
Anselmo nacque ad Aosta nel 1033 (forse 1034). Quando era ancora molto giovane perse la madre, mentre il rapporto con il padre fu sempre difficile. Fu costretto ad abbandonare la casa paterna. Si diresse quindi in Normandia, dove divenne collaboratore di Lanfranco di Pavia, dell’abbazia di Bec. Anselmo, che poi divenne abate a Bec, viaggiò molto, in particolare in Inghilterra1. Nel 1093 diventò arcivescovo di Canterbury, carica che conservò sino alla morte, che avvenne nell’aprile del 1109. Anselmo dedicò gli ultimi anni della sua vita ad argomentare a favore della libertas eccleasiae, cioè a difendere l’autonomia della chiesa dall’impero.
Rapporto fede-ragione
Come molti filosofi cristiani, Anselmo sviluppa un suo pensiero sul rapporto fede-ragione. La posizione del filosofo si può riassumere con l’espressione fides querens intellectus, “la fede cerca l’intelletto“. Questa formula sta ad indicare:
- La fede riveste un’importanza primaria, poiché dà l’accesso alla verità, ovvero all’esistenza di Dio, ed è condizione necessaria per la salvezza dell’anima.
- L’intelletto e le sue argomentazioni sono un’esigenza umana la cui soddisfazione rafforza la fede e la sua comprensione.
Anselmo cerca di dare sostanza a quest’accezione fornendo due dimostrazioni dell’esistenza di Dio. Le vediamo di seguito
Prove dell’esistenza di dio secondo Anselmo d’Aosta
La dimostrazione a posteriori dell’esistenza di Dio: il Monologion – 1076
Nell’opera Monologion (Soliloquio), del 1076, il filosofo parte da una considerazione di fatto – dunque a posteriori – dal sapore platonico. Egli afferma che noi tutti siamo testimoni del fatto che nel mondo esistono cose più o meno perfette. Esistono, cioè, dei gradi di perfezione. Esistono cose più o meno belle, più o meno giuste, più o meno buone. Essendo il mondo organizzato gerarchicamente, deve esistere un maximum delle perfezioni. Dio dunque presenterebbe in sé tutte le perfezioni in massimo grado. Pertanto Dio non può non esistere, perché la scala delle perfezioni, dalla cosa meno perfetta, deve potere raggiungere l’apice, ovvero la cosa più perfetta, Dio.
La dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio: il Proslogion – 1077
Ancora più nota è la dimostrazione (argumentum) che Anselmo fornisce nel Proslogion (Colloquio), opera dell’anno successivo. Questo argomento, finalizzato alla confutazione dell’ateismo, si struttura nel modo seguente:
- Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (id quod maior cogitari nequit). Questo pensiero lo condividono anche gli atei;
- Essendo tale, ha tutte le perfezioni, allora avere anche quella dell’esistenza. Sarebbe infatti paradossale pensare che le cose imperfette, come di fatto accade, esistano, mentre quelle massimamente perfette, Dio, no.
- Dunque, Dio esiste.
La prima obiezione alla prova a priori
L’argomento anselmiano, che oggi viene chiamato, sulla scorta di Kant, prova ontologica, sarà destinato ad attraversare i secoli, tra sostenitori e detrattori. Affronteremo la fortuna della prova nel corso delle lezioni. Tuttavia, è bene sapere che il primo a metterla in discussione fu un contemporaneo di Anselmo, Gaunilone di Marmoutiers. Egli per primo, nell’opera Pro Insipiente, fa notare come il pensiero di una cosa perfetta non implichi la sua esistenza. Ad esempio io posso pensare ad un’isola felice, ma non è detto che essa esista. Anselmo risponderà a questa obiezione affermando che lo status ontologico della divinità è del tutto peculiare. Possedendo tutte le perfezioni, Dio è l’unica entità per la quale la mera definizione implica l’esistenza.
Anselmo e la verità come rectitudo
Nell’opera De veritate (1080-1085), Anselmo parla del rapporto tra cosa reale e modello divino. Lo fa utilizzando il concetto di rectitudo, la correttezza, ma anche verità. Esistono:
- una rectitudo del pensiero, che coglie l’essenza della cosa;
- una rectitudo della cosa, che è la sua essenza in quanto mente divina.
La verità di un enunciato, la sua rectitudo, sta nel rispetto del significato per la cosa reale, che a sua volta può essere più o meno retta rispetto all’idea divina. Da queste considerazioni emerge che per Anselmo vi può essere perfetta corrispondenza tra linguaggio, pensiero e realtà. È quindi possibile collocarlo tra i realisti nel contesto della disputa sugli universali.
Rectitudo come libertà di compiere il bene
Il concetto di rectitudo ha anche una valenza etica, non solo aletica. Infatti, per il filosofo, retto è l’uomo libero, cioè l’uomo che sceglie il bene. Solo scegliendo il bene si è liberi, non scegliendo il male. Se così non fosse arriveremmo alla conclusione che dio, non potendo peccare, non sarebbe libero.