In questo articolo trattiamo il regno di Filippo II di Spagna, erede di Carlo V e protagonista del siglo de oro.
Indice
Il centralismo di Filippo II
Nel 1556 a Carlo V succede Filippo II sul trono di Spagna. Ovviamente non solo la Spagna, ma anche le colonie Americane, Milano e Napoli, i Paesi Bassi e la Franca Contea. A questi territori si aggiunsero poi le Filippine, dove era morto Magellano, che gli Spagnoli iniziarono ad occupare intorno agli anni Settanta. Ancora, nel 1580, una crisi dinastica in Portogallo permise alla Spagna di annetterlo con tutte le sue colonie.
L’impero spagnolo, per continuare ad essere tale, aveva bisogno, necessariamente di conservare il primato sui mari: è in questo senso che Filippo II aveva sposato Maria Tudor (1153-1558). Entrambi i sovrani erano cattolici: il monarca spagnolo sarà del resto un campione della Controriforma.
Rispetto al padre Carlo V, Filippo interpretò il suo ruolo in maniera decisamente nazionale e centralistica. Prova del primo aspetto è la reggia di El Escorial, la residenza, vicino a Madrid, in cui il monarca trascorse tutta la vita, senza spostarsi di frequente come il padre.
Lo stile di governo centralistico era basato su un robusto sistema burocratico. Per molti versi Filippo II fu un sovrano assoluto, arrivando a controllare la gerarchia ecclesiastica tramite il diritto di presentazione, ovvero la nomina dei vescovi. Gli unici organi che in qualche modo partecipavano al – o sarebbe meglio dire sostenevano il – governo del monarca erano i vari Consigli:
- Il Consiglio di Stato, un organo con funzioni diplomatiche e di politica estera.
- Quello di Guerra.
- Il Consiglio delle Indie e dell’Italia.
- Il Consiglio dell’Inquisizione, con poteri di persecuzione e repressione religiosa.
L’amministrazione del regno passava anche per i cosiddetti corregidores, dei funzionari che operavano nelle province. Queste cariche non erano assegnate in base al merito, ma venivano acquistate, in favore delle casse della corona ma a detrimento della qualità della classe dirigente.
Una particolare istituzione era quella della Cortes, assemblee rappresentative paraparlamentari che presentavano al sovrano richieste e petizioni e discuteva le imposte.
Il siglo de oro e i debiti della corona
Sotto Filippo II la Spagna conobbe la sua massima potenza. Non a caso il Cinquecento è stato per la Spagna il siglo de oro1, anche per i massicci carichi di oro e altri metalli preziosi provenienti dalle colonie americane.
Fu un periodo molto ricco anche dal punto di vista culturale ed artistico: Rubens, El Greco, Hieronymus Bosch per la pittura, e Miguel de Cervantes per la letteratura.
Tuttavia, la Spagna, economicamente, era una gigante dai piedi d’argilla. In primo luogo le entrate statali non erano sufficienti a coprire le le uscite. La voce principale di queste ultime riguardava il mantenimento dell’esercito e i prestiti – e relativi interessi – che il sovrano contraeva con i i banchieri. Più volte Filippo II si vide costretto a dichiarare bancarotta, dilazionando così i propri debiti e costringendo al fallimento alcuni suoi creditori, tra cui la nota famiglia Fugger.
In aggiunta, le ricchezze d’oltreoceano causarono un’inflazione strutturale. La decadenza economica era legata certamente anche all’arretratezza sociale. L’agricoltura si basava ancora sul latifondo, con rese produttive spesso insufficienti; l’assenza di un ceto borghese, imprenditoriale; la scarsa efficienza dell’apparato manifatturiero, che non era in grado di competere con i prodotti stranieri.
La repressione religiosa contro i conversos e i moriscos
Come abbiamo anticipato, Filippo II fu certamente un campione della cristianità cattolica e della Controriforma. In Spagna, dal 1492, ebrei e musulmani erano stati costretti a convertirsi al cristianesimo o ad essere espulsi. In molti casi si dubitava della genuina conversione degli ebrei (i conversos) come pure degli islamici (i moriscos). Così, nel 1567, Diego de Espinosa, l’inquisitore generale spagnolo, vietò ai moriscos di praticare la lingua araba. Seguì una ribellione che fu repressa molto duramente. Le autorità spagnole deportarono e dispersero i moriscos su tutto il territorio spagnolo, rompendo l’unità della comunità islamica, concentrata sopratutto a Granada. Questa assimilazione forzata fallì, nel 1609, quando Filippo II era ormai morto da oltre 10 anni, gli Spagnoli espulsero tutti i moriscos dalla Spagna.
La Lega Santa contro i Turchi e la battaglia di Lepanto – 1571
Le enormi spese per il mantenimento dell’esercito trovavano la loro ragion d’essere nelle ambizioni egemoninche di Filippo II, intenzionato ad assoggettare l’intera Europa alla dominio spagnolo. Una delle questioni da affrontare era quella di porre fine alle scorribande della pirateria saracena, proveniente dagli Stati barbareschi dell’Africa settentrionale. Come il padre Carlo V, Filippo II non ebbe successo in quest’impresa.
Un’altra minaccia, molto più pericolosa, era l’avanzata dei Turchi Ottomani. Nel 1570, guidati dal califfo Selim II, i Turchi avevano occupato Cipro, bastione cristiano nel Mediterraneo orientale, e possedimento veneziano. Pio V2 promosse una Lega Santa anti-turca. Ad essa presero parte Venezia, Genova, Malta e ovviamente la stessa Spagna. L’imponente flotta della Lega, guidata dal fratellastro di Filippo II, Giovanni d’Austria, intercettò presso Lepanto, nel Golfo di Corinto, quella Turca infliggendo un’importante sconfitta agli Ottomani (7 ottobre 1571).
La vittoria di Lepanto fu di eccezionale importanza simbolica, poiché considerata come un trionfo dell’Occidente cristiano, trionfo accompagnato da un senso di liberazione da un nemico sempre presente e che, nel 1453, aveva conquistato Costantinopoli ponendo fine all’Impero bizantino. Per la Corona spagnola questa vittoria si tradusse in una importante crescita di prestigio. Ad ogni modo, la Lega rimase unita solo sino a questo scontro. Dopo Lepanto, i Veneziani presero accordi con i Turchi, rinunciando a Cipro per altri vantaggi economici e commerciali. La Spagna non avrebbe trattato la pace con gli Ottomani prima del 1580, anno in cui raggiunge l’apice della propria potenza, annettendo anche il Portogallo.
L’indipendenza delle Province Unite – 1567-1648
Un’altra spinosa questione che Filippo II era intenzionato ad affrontare era quella dei Paesi Bassi spagnoli. Questa regione, divisa in diciassette provincie, era abitata da una popolazione di mentalità, tolleranza religiosa, tessuto economico-sociale molto lontana da quella spagnola. Largo spazio in queste province si dava al parlamentarismo, dato che ognuna di esse aveva i propri Stati Generali. Il governo di ogni provincia era affidato ad uno Statolder, ma tutti facevano capo al governatore generale, che risiedeva a Bruxelles, ma era nominato in Spagna.
Carlo V, aveva lasciato larghi spazi di autonomia a quelle province, pur cercando, senza successo, di reprimere il calvinismo di quella regione. Filippo II e il suo approccio centralistico, fecero sì che in quelle regioni un sentimento antispagnolo maturasse rapidamente. A questo bisogna aggiungere l’inasprimento del regime fiscale e l’insediamento di vescovi e l’introduzione dell’Inquisizione.
Fu soprattutto l’oppressione religiosa a far sì che in molte città dei Paesi Bassi, negli anni Sessanta del Cinquecento, avvenissero rivolte e saccheggi ed uccisioni, ai danni degli esponenti del clero cattolico. Filippo II mandò il duca d’Alba, suo uomo di fiducia, che istituì il Tribunale dei Torbidi, un durissimo tribunale che inflisse migliaia pene capitali. Questo non fece altro che infiammare la rivolta, e il duca d’Alba, costretto alla fuga, fu sostituito da Giovanni d’Austria, il vincitore di Lepanto che, riuscì a sedare la rivolta, almeno provvisoriamente.
Sul finire degli anni Settanta, le province settentrionali formarono l’Unione di Utrecht, che proclamò la sua indipendenza nel 1581 dando così vita alla Repubblica delle Province Unite (o Olanda, la provincia più importante). Guidata da Guglielmo I d’Orange, e aiutata dall’Inghilterra da Elisabetta I intenzionata a minare l’egemonia spagnola, la Repubblica si vide riconosciuta solo nel 1648, al termine della Guerra dei Trent’Anni. Il periodo che va dalle prime ribellioni del 1566-67 al 1648 viene anche indicato come Guerra degli Ottant’anni.