In questo articolo trattiamo il pensiero di Ludwig Feuerbach (1804-1872), massimo esponente della Sinistra Hegeliana e noto per la sua critica alla religione.
Indice
Biografia e opere
Biografia
Opere – da completare
Titolo originale | Titolo tradotto | Anno di pubblicazione |
Zur Kritik der Hegelschen Philosophie | Per una critica della filosofia hegeliana | 1839 |
Das Wesen des Christentums | L’essenza del cristianesimo | 1841 |
Grundsätze der Philosophie der Zukunft | Principi per la filosofia dell’avvenire | 1843 |
Das Wesen der Religion | L’essenza della religione | 1846 |
Theogonie, nach den Quellen des classischen hebräischen und christlichen Althertums | Teogonia secondo le fonti dell’antichità classica, ebraica e cristiana | 1857 |
L’allontanamento dall’hegelismo
Sebbene Feuerbach avesse sempre conservato i contatti con gli altri esponenti della sinistra hegeliana, verso la fine degli anni Trenta si assiste ad una rottura sempre più marcata con la filosofia hegeliana. In particolare, nel 1839, Feuerbach scrive:
- un saggio sugli Annali di Halle, nel quale accusa i vecchi hegeliani (gli hegeliani della generazione precedente) di essere soltanto dei pigri storici, che assumono nei confronti del pensiero di Hegel un atteggiamento dogmatico.
- L’opera Critica della filosofia hegeliana. Il centro polemico di quest’opera non sono gli hegeliani, quanto più il sistema di Hegel nel suo complesso. L’Autore infatti sostiene che il sistema di Hegel, caratterizzato dall’assolutismo della ragione, rappresenta e giustifica l’assolutismo politico della Restaurazione. Ancora, nel sistema hegeliano si assiste all’indebita, forzata e artificiosa coniugazione del infinito con il finito.
La critica alla religione e il rovesciamento dei rapporti di predicazione
Dopo appena due anni dalla pubblicazione della Critica della filosofia hegeliana, Feuerbach pubblica L’essenza del cristianesimo (1841), l’opera per la quale è forse più noto. In quest’opera il filosofo si interroga sull’origine e sulla natura del sentimento religioso. Perché tutti gli uomini sono accomunati da questo sentimento e perché l’uomo è l’unico essere vivente che lo nutre?
Possiamo già anticipare che per il filosofo la religione è
l’insieme dei rapporti dell’uomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però come un altro essere […]. Tutte le qualificazioni dell’essere divino sono perciò qualificazioni dell’essere umano […]. Tu credi che l’amore sia un attributo di Dio perché tu stesso ami, credi che Dio sia un essere sapiente e buono perché consideri la bontà e intelligenza le tue migliori qualità.
Già da questo estratto possiamo comprendere quindi che tutta la teologia, non sia che una proiezione estrema delle qualità umane. Come scriverà Feuerbach in questa stessa opera:
Dio è l’ottativo del cuore umano divenuto tempo presente.
In altri termini, la religione si smaschera come antropologia rovesciata, la credenza che le qualità migliori appartengano a qualche essere esterno e incommensurabile rispetto alla natura umana. Dio per l’appunto. Come scrive l’Autore:
L’uomo sposta il suo essere fuori di sé prima di trovarlo in sé […] La religione è l’infanzia dell’umanità; il bambino vede il proprio essere, l’uomo, fuori di sé, ossia oggettiva il proprio essere in un altro uomo. Perciò il progresso storico delle religioni consiste appunto nel considerare in un secondo tempo come soggettivo ed umano ciò che le prime religioni consideravano come oggettivo e adoravano come un dio.
L’origine di Dio: varie ipotesi
Se, dunque, la religione nasce mediante un rovesciamento antropologico, rimane da verificare come avvenga tale rovesciamento. In Feuerbach sono compresenti varie ipotesi tra le quali il filosofo oscilla che elenchiamo di seguito:
- Dio è la personificazione delle qualità della specie umana: come singolo, l’uomo si sente limitato, mentre tali limiti non appartengono alla specie.
- Si arriva all’idea di Dio per superare lo iato tra l’immaginazione e la volontà di potere ciò che si può effettivamente fare, che è più limitato. Dio, che è appunto onnipotente, rappresenta il superamento della distanza tra ciò che vorremmo poter fare e ciò che effettivamente possiamo fare.
- Vengono rese divine le cose da cui l’uomo è dipendente, ad esempio gli elementi naturali.
La religione come forme di alienazione e il dovere dell’ateismo
Se l’uomo, nel pensiero religioso, proietta fuori di sé la propria natura e le proprie qualità creando così l’idea di un essere onnipotente che è Dio, allora, per Feuerbach la religione può definirsi una forma di alienazione.
Alienazione (Feuerbach) |
Nel pensiero di Feuerbach, l’alienazione è il processo patologico dell’uomo che proietta fuori di sé le proprie qualità. Così facendo le scinde da sé stesso, le rende aliene (estranee) a sé, perdendo così la propria identità. In altri termini la religione è una forma di allontanamento ed estraneazione dell’uomo da se stesso. |
Molto chiaro e significativo è quanto scrive il filosofo nell’Essenza del cristianesimo a tal proposito:
Nella religione l’uomo opera una frattura nel proprio essere, scinde sé da se stesso, ponendo di fronte a sé Dio come un essere antitetico. Nulla è Dio di ciò che è l’uomo, nulla è l’uomo di ciò che è Dio. Dio è l’essere infinito, l’uomo l’essere finito; Dio perfetto, l’uomo imperfetto; Dio eterno, l’uomo perituro; Dio onnipotente, l’uomo impotente; Dio santo, l’uomo peccatore. Dio e l’uomo sono due estre: Dio il polo positivo, […] l’uomo il polo negativo […]
Come, allora, si può porre rimedio all’alienazione religiosa? Per il pensatore la soluzione risiede nell’ateismo. Per Feurbach l’ateismo è un vero e proprio dovere morale, sorto dall’analisi filosofica sul fenomeno religioso fin qui condotta. Bisogna tuttavia notare che l’ateismo feuerbachiano non ha soltanto la valenza negativa del non-credere, ma pure una dimensione positiva. Infatti, se bisogna smettere di credere in dio, al contempo si dovrà credere nell’uomo e, di conseguenza, questa forma di ateismo coincide con l’antropoteismo, che è il ritorno dell’uomo a se stesso.
Il rovesciamento dei rapporti di predicazione: porre l’infinito nel finito
La filosofia dell’avvenire: filantropia e materialismo
Se l’attitudine religiosa, di cui la stessa filosofia hegeliana è un’espressione, va abbandonata, in quanto rappresenterebbe uno stadio infantile dell’umanità, allora si tratterà di elaborare una nuova filosofi, una filosofia dell’avvenire. Questa filosofia, nell’ottica di Feuerbach, è certamente una nuova forma di umanesimo. All’uomo viene riconsegnato il suo posto, centrale. Prova ne è che la filosofia dell’avvenire si costituisce su una base filantropica e non teofiliaca.
L’amore per l’uomo si lega poi certamente anche al materialismo feuerbachiano, che emerge dallo scritto Il mistero del sacrificio o L’uomo è ciò che mangia (1862). In questo scritto il pensatore vuole superare il classico dualismo mente-corpo. Affermando che le funzioni cognitive poggiano su un sostrato materiale che va nutrito – banalmente, il corpo, ne segue che l’alimentazione è importante:
La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e di sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliore il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato dategli un’alimentazione migliore.
Libero arbitrio e vitalismo