In questo articolo trattiamo la schiavitù e l’espansione a Ovest degli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento.
Indice
Un federalismo imperfetto
Abbiamo già trattato la nascita della Costituzione degli Stati Uniti, come pure della scelta di dare al nuovo Stato un’organizzazione federale. Tuttavia, sin dai primi due mandati presidenziali di George Washington (1789-92 e 1793-96) si riaprì il dibattito tra i federalisti accentratori e i confederali, che premevano per ottenere maggiore autonomia per gli Stati.
Il protezionismo di Hamilton
Questa divisione caratterizzava solo la politica. Vi erano infatti anche diversi interessi economici alla base. Gli Stati settentrionali, certamente più industrializzati, avevano interesse in una politica economica protezionistica. Il protezionismo infatti, che fu la politica economica di Alexander Hamilton, segretario del tesoro (1789-1795), mirata alla protezione dei prodotti americani, scoraggiando l’importazione di quelli inglesi. Questa politica tuttavia sfavoriva certamente gli Stati del Sud. Basati sull’economia delle piantagioni e sul lavoro schiavile, temevano un approccio meno favorevole al laissez-passer dei loro prodotti, in particolare tabacco e cotone.
Nasce il Partito democratico-repubblicano
Una prima divisione, interna allo schieramento federalista, si ebbe si dagli anni Novanta del Settecento, quando Hamilton1 istituì la banca centrale statunitense (1801), che aveva potere di controllo su tutte le banche locali. Alcuni politici di primo piano come Jefferson e Madison protestarono verso questo nuovo istituto, dando vita ad una scissione interna al partito federalista. Nacque così il Partito democratico-repubblicano. Tale partito era comunque favorevole all’unità, ma ad un’unità meno rigida, per la quale il governo centrale non sarebbe stato invasivo. Il Partito democratico-repubblicano fece valere le sue ragioni e Jefferson divenne presidente nel 1800.
Gli Stati del Sud e la questione della schiavitù
L’economia del cotone
Negli Stati del Sud, il Partito democratico-repubblicano2 riuscì ad imporsi come egemone ben oltre gli anni della presidenza Jefferson. In quegli anni gli Stati del Sud si trovarono a detenere il primato economico su quelli settentrionali. Infatti, per la fortunata concomitanza della Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra e l’invenzione della macchina di Eli Whitney per separare la bambagia dal seme, aprì un immenso spazio per il commercio del cotone. Questo spiega certamente l’avversione sudista verso le misure protezionistiche di Hamilton: i rapporti commerciali con la Gran Bretagna erano infatti intensissimi.
Questo livello di produzione non sarebbe stato assolutamente possibile senza l’impiego dalla manodopera degli schiavi di colore.
Abolizione della tratta degli schiavi, non della schiavitù
Proprio in quegli anni, si apriva il dibattito intorno alla schiavitù con la conseguente nascita di un movimento abolizionista, diffusosi certamente per lo più negli Stati settentrionali, parallelamente a quello nato in Gran Bretagna3. Nel Congresso si vota la mozione per l’abolizione delle tratta degli schiavi a partire dal 1808:
The Migration or Importation of such Persons as any of the States now existing shall think proper to admit, shall not be prohibited by the Congress prior to the Year one thousand eight hundred and eight, but a tax or duty may be imposed on such Importation, not exceeding ten dollars for each Person4.
L’immigrazione o l’introduzione di quelle persone [gli schiavi] che gli Stati attualmente esistenti possono ritenere conveniente ammettere non potrà essere vietata dal Congresso prima del 1808, ma una tassa o un dazio può essere imposto su tale importazione, non superiore a dieci dollari per ogni persona.
La mozione votata dal Congresso abolì solo la tratta degli schiavi dall’Africa all’America, ma non abolì certamente la schiavitù. Anzi, proprio perché in quegli anni l’economia delle piantagioni di cotone stava esplodendo, la soluzione fu quella di “allevare” gli schiavi in situ, avviando così un mercato degli schiavi. Si stima che tra il 1820 e il 1860 20000000 di schiavi afroamericani siano stati oggetto di compravendita. Come conseguenza, la popolazione afro-americana crebbe notevolmente, sopratutto negli Stati del Sud5.
Il compromesso dei Missouri – 1820
La questione della schiavitù sarebbe stata sempre più spinosa negli anni a venire sino alla Guerra di Secessione degli anni Sessanta. Un ulteriore motivo di contrasto tra gli schiavisti e gli abolizionisti fu l’annessione del territorio del Missouri. Tale territorio di 66000 abitanti, di cui 6000 di colore, chiese l’annessione nel 1819. La sua costituzione interna ammetteva la schiavitù, ed il problema sorse nella misura in cui ogni Stato aveva diritto a 2 seggi in Senato. Se il Missouri fosse stato ammesso, divenendo uno Stato, allora gli Stati schiavisti avrebbero ottenuto la maggioranza.
Il senatore del Kentucky Henry Clay propose nel 1820 il cosiddetto compromesso del Missouri: il Missouri sarebbe entrato nell’Unione, in esso sarebbe stata permessa la schiavitù, ma, quest’ultima non sarebbe stata permessa in ulteriori territori dopo il parallelo 36°30′. Inoltre, per pareggiare i Seggi in senato tra Stati schiavisti e non, veniva ammesso nell’Unione lo stato del Maine, che fino ad allora aveva fatto parte del Massachusetts.
Espansione verso Ovest e sterminio degli indiani
Espansione e crescita demografica
Nei quarant’anni tra il 1790 e il 1830, gli Stati Uniti conobbero un’importante espansione demografica e territoriale. Tale espansione verso Ovest era già stata preventivata da tempo. Sin dal 1787 l’Ordinanza del Nord Ovest stabiliva che i nuovi territori conquistati sarebbero divenuti Stati una volta che avessero raggiunto singolarmente la popolazione di 60000 abitanti.
Tra il 1792 e il 1819, alle tredici colonie iniziali si aggiunsero i nuovi Stati di Kentucky (1792), Mississipi (1817), Alabama (1819), Ohio (1803), Tennessee (1796), Illinois (1818), Indiana (1816), Vermont (1791) e Maine (1820). Altri Stati invece furono acquistati, come la Louisiana dai Francesi6 nel 1803 e la Florida dagli Spagnoli nel 1819.
Il destino manifesto, la frontiera e la dottrina Monroe
Il governo degli Stati Uniti aveva favorito l’espansione verso Ovest tramite una vendita di terreni per i pionieri abbastanza conveniente, ma solo per grandi estensioni di terreno (2 dollari per 0,4 ettari, per un’estensione minima di acquisto di 259 ettari). Sebbene conveniente nel rapporto prezzo-quantità, l’esborso era eccessivo per il pioniere medio, che pertanto o si indebitata o rivendeva frazioni del lotto acquistato. Il governo quindi man mano calò i prezzi e le dimensioni dei lotti acquistabili.
Nasceva il mito della frontiera, corroborato dalla retorica del destino manifesto. Espressione coniata dal giornalista John O’Sullivan, il destino manifesto era ovviamente quello di arrogare a sé, ovvero ai wasp7, il diritto sottomettere tutte le altre popolazioni ed occupare tutti i territori ne lontano Ovest (Far West), in quella che doveva essere una missione civilizzatrice. Sebbene la frontiera si postò sempre più a Ovest, almeno fino agli anni Trenta i nuovi territori non erano densamente popolati.
In questi anni di espansione interna, gli Stati uniti, seguendo la dottrina isolazionista del presidente Monroe (1758-1831), intrattengono con l’Europa solo rapporti di tipo commerciale ed impedendo qualsiasi ingerenza politica degli Europei nel continente americano: L’America agli Americani diverrà lo slogan della politica di Monroe.
Espulsione e sterminio dei nativi americani
L’espansione verso Ovest, l’agricoltura meccanizzata, la produzione intensiva e, in generale, l’occupazione colonica, non poterono che entrare in contrasto con il modo di vivere dei nativi americani. I coloni del resto denotavano con la parola wilderness tutto ciò che non era stato ancora occupato, sebbene in realtà proprio quei territori fossero le zone di caccia di caccia di questi ultimi andavano via via riducendosi e non di rado avvennero scaramucce che si evolvettero in veri e propri scontri. Il livello di conflittualità aumentò a tal punto che il governo statunitense decise di schierare l’esercito.
La storia dell’incontro dei nativi americani con l’uomo bianco non pote’ che esser disastrosa per i primi. Già i primi coloni avevano annientato la popolazione originaria. La marginalizzazione e deportazione dei nativi era poi continuata per tutto l’Ottocento, tramite guerre, accordi territoriali truffa e razzismo.
Tra il 1811 e il 1812 scoppiò una guerra tra nativi e Americani. Il capo Tucumesh, della tribù dei shawnee, costituì una alleanza militare con i creek , ma i nativi furono sconfitti. Una secondo ondata di deportazioni avenne in seguito alla corsa all’oro degli anni quaranta.