In questo articolo trattiamo il Risorgimento (1848-1870), il processo storico che portò all’unificazione dello Stato Italiano.
Indice
Le anime del Risorgimento
Il Risorgimento si lega certamente all’idea, sempre più cosciente e formata, della necessità per l’Italia, di divenire uno Stato unitario. Tale coscienza era andata maturando durante tutta la prima metà dell’Ottocento, articolandosi nei vari moti insurrezionali. Il dibattito risorgimentale si articolava intorno a due modi di intendere il processo di unificazione:
- un modo moderato, quello della destra risorgimentale, nel quale possiamo annoverare certamente il pensiero di Camillo Benso, Conte di Cavour;
- un modo democratico, quello della sinistra risorgimentale, nel quale possiamo annoverare certamente il pensiero di Giuseppe Mazzini.
Nella tabella sottostante raccogliamo queste varie anime del Risorgimento, per poi analizzarle nei paragrafi successivi.
Esponenti | Obiettivi | Mezzi del processo di unificazione | |
Sinistra risorgimentale Democratici |
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Italia unita, repubblicana e democratica | Rivoluzione con il coinvolgimento delle masse popolari |
Carlo Cattaneo | Repubblica democratica e federale | Riformismo | |
Destra risorgimentale Moderati e Liberali |
Vincenzo Gioberti | Neoguelfismo: nascita di una confederazione italiana sotto la guida del pontefice | Accordo interno agli Stati italiani |
Cesare Balbo | Confederazione italiana a guida Savoia | Diplomazia ed esercito sabaudo | |
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Stato Unitario monarchico a guida Savoia | Diplomazia ed esercito sabaudo |
Giuseppe Mazzini: l’Italia come repubblica democratica
Dalla Carboneria alla Giovine Italia
Al patriota genovese Giuseppe Mazzini (1805-1872), uno dei protagonisti del Risorgimento, si lega una concezione democratica del futuro Stato italiano unificato. Mazzini, inizialmente membro della Carboneria, dopo i fallimenti dei moti degli anni Venti e Trenta, respinse la segretezza come matrice insurrezionale. Tale rifiuto era basato sul fatto che le insurrezioni organizzate dalle società segrete come la Carboneria non permettessero il coinvolgimento delle masse popolari, destinando così le rivolte al fallimento.
Fondò quindi una nuova organizzazione, la Giovine Italia (1831), il cui scopo era quello di lottare affinché l’Italia divenisse
[…] una, libera, indipendente e repubblicana.
Alla Giovine Italia, che faceva della propaganda una delle sue strategie principali, aderirono migliaia di persone, soprattutto nelle regioni del centro-nord, ad eccezione del Piemonte. Lo stesso Giuseppe Garibaldi inizialmente aderì all’organizzazione di Mazzini.
Il romanticismo e associazionismo mazziniano
Dietro il pensiero mazziniano vi era una fortissima componente romanticistica e spirituale. Secondo Mazzini, di cui è famoso il binomio Dio e Popolo, gli uomini erano chiamati da Dio per contribuire al progresso umano. Nella visione mazziniana gli Italiani dovevano edificare una terza Roma, dopo quella antica e dopo quella dei Papi, sconfiggendo le forze dell’Impero Asburgico e quelle dello Stato Pontificio.
A Mazzini inoltre si può attribuire il principio dell’associazionismo. Secondo l’associazionismo, che è critico verso l’individualismo liberalista settecentesco, l’individuo deve riconoscersi nella famiglia, nella nazione che è l’unione delle famiglie e, infine, nell’umanità, che è l’unione delle nazioni. Il patriota genovese, pur attento alle questioni sociali, non apprezzò particolarmente il principio marxiano della lotta di classe, proprio in quanto socialmente divisivo e contrario all’associazionismo.
Ancora, un altro binomio caratterizza tipicamente il pensiero di Mazzini è Pensiero e azione, in base al quale ad ogni teoria doveva seguire un’azione, ed in particolare alle teorie insurrezionali dovevano effettivamente seguire i moti insurrezionali.
Fallimenti dei moti mazziniani
E in effetti i moti seguirono. Tra il 1833 e il 1845 vari moti insurrezionali avvennero in Italia. Il più famoso di essi è certamente quello dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (1844), ufficiali della marina austriaca e associati alla Giovine Italia, cercarono di far sollevare i contadini calabresi contro il regime borbonico. Tutti i moti di ispirazione mazziniana fallirono e furono repressi. Mazzini perse via via prestigio, credibilità e seguito. L’unificazione sarebbe dovuta passare per via alternative, forse più moderate.
Carlo Cattaneo: l’Italia come repubblica federale
Il milanese Carlo Cattanaeo (1801-1869) era anch’egli, come Mazzini, un repubblicano. Da Mazzini si distingueva tuttavia per almeno tre aspetti:
- concepire l’Italia unita come uno stato non accentrato, bensì federale (Cattaneo aveva già in mente gli Stati Uniti d’Europa);
- non pensare nei termini misticheggianti, romantici come Mazzini;
- utilizzare la via del riformismo e non quella della rivoluzione.
Vincenzo Gioberti e il neoguelfismo
Tra i moderati filofederali va certamente annoverato anche il sacerdote Vincenzo Gioberti (1801-1852). Le idee di Gioberti sono esposte nell’opera Del primato morale e civile degli italiani (1843). Secondo Gioberti, la cui posizione viene definita non a caso neoguelfa, l’Italia, ospitando sul suo territorio la sede del papato, e avendo partecipato alla missione civilizzatrice, doveva unificarsi sotto il potere papale, rafforzato dall’esercito sabaudo. Il neoguelfismo, come ipotesi di unificazione, cade tuttavia nel momento in cui Pio XI dichiara lo Stato Pontificio neutrale nel contesto della Prima Guerra d’Indipendenza.
Il moderatismo liberale e la figura di Cavour
Nell’ala moderata vanno certamente annoverati personaggi storici come Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio. Massimo d’Azeglio (1798-1866) fu uno scrittore e un pittore piemontese, nonché personalità di spicco dello schieramento liberal-moderato. Fu incaricato da Vittorio Emanuele II di formare un governo che durò dal 1849 al 1852.
Certamente però l’esponente della frangia liberale più importante e che maggiormente ha contribuito all’unificazione dello Stato Italiano è stato Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861).
Figlio cadetto di una delle famiglie nobili più prestigiose e ricche del Piemonte, ha modo di viaggiare e di conoscere i sistemi economici in europei, rimanendo profondamente colpito dal livello di progresso economico e tecnologico degli inglese. Vuole ammodernare l’Italia, portarla al livello delle altre potenze europee. Ricoprirà diversi ruoli nel governo piemontese. Sotto il governo d’Azeglio sarà ministro dell’Agricoltura, dell’industria e del commercio (1850) e poi Ministro delle Finanze (1851).
Nota è l’avversione di Cavour verso l’approccio mazziniano o verso qualsiasi altra disordinata iniziativa patriottica.
Video-lezione di sintesi 1
L’Italia tra il 1848 e il 1858
Un ulteriore fallimento mazziniano: la spedizione a Sapri di Pisacane
Dopo l’episodio del fratelli Bandiera, altri moti di ispirazione mazziniana avvennero negli anni Cinquanta dell’Ottocento. Uno di questo, quello di Milano del 6 febbrario 1853, fu organizzato proprio dallo stesso Mazzini, ma fu presto stroncato.
Il fallimento più famoso però si lega al nome del socialista Carlo Pisacane (1818-1857), protagonista della spedizione di Sapri del 1857. Ispirato dalla visione di Mazzini, Pisacane era convinto che una rivoluzione fosse possibile solo coinvolgendo le masse contadine meridionali. Imbarcatosi con un gruppo di suoi seguaci su un piroscafo, lo fa dirottare e si dirige sull’isola di Ponza, dove si trovava una prigione borbonica. La assalta, libera circa 300 prigionieri e sbarca a Sapri, dove spera di innescare la rivolta coinvolgendo i contadini. Questi collaborano invece con l’esercito borbonico che stronca l’insurrezione sul nascere. A Pisacane non resta che il suicidio.
La politica di Cavour
Nel 1850 il governo piemontese guidato da d’Azeglio vara le leggi Siccardi, che hanno lo scopo di limitare il potere ecclesiastico. Esse prevedono:
- l’abolizione del foro ecclesiastico (in pratica un sistema giuridico separato e differente da quello laico per gli esponenti del clero);
- il divieto di compravendita immobiliare senza l’autorizzazione regia;
- la riduzione delle festività religiose;
- l’abolizione del diritto d’asilo attribuito alle chiese o ai luoghi di culto in generale.
Nel frattempo Cavour, ministro del governo d’Azeglio, cerca di ammodernare il Regno di Sardegna, promuovendo la costruzione di infrastrutture e vie di comunicazione per i commerci, come ferrovie, canali di irrigazione. Vengono stipulati anche tutta una serie di accordi doganali con altri Stati europei, come Francia, Belgio e Regno Unito.
Lo spirito delle leggi Siccardi sarà poi seguito dallo stesso Cavour una volta divenuto capo del Governo (1852). Nel 1855 Cavour abolisce tutte le associazioni religiose che non svolgono funzioni assistenziali. I beni di tali associazioni religiose contemplative vengono destinati da una Cassa ecclesiastica: con essa vengono stipendiati i preti del Regno1.
L’intervento nella guerra di Crimea e gli accordi di Plombières – 1854-1859
L’abilità politica e diplomatica di Cavour si esprime al suo meglio quando riesce a dare visibilità internazionale al Regno di Sardegna. Questa visibilità è ottenuta grazie all’intervento nella guerra di Crimea (1853-1856)2. Il Regno di Sardegna inviò un piccolo contingente di spedizione, e tanto bastò a Cavour per ottenere un posto alla conferenza di page di Parigi del 1856 nella quale, tra le altre cose, si discute l’instabile situazione politica italiana.
Ancora più importante dal punto di vista dei risultati concreti fu l’alleanza con Napoleone III. Quest’ultimo preoccupato dall’instabilità politica – e, del resto era uscito illeso da un attentato patriottico in Italia – invita Cavour ad un incontro diplomatico riservato a Plombières, una stazione termale (20-21 luglio 1858). Da questo incontro sorge una vera e propria alleanza franco-sabauda (24 febbraio 1859), i cui termini sono i seguenti:
- il Regno di Sardegna cede la Savoia e Nizza alla Francia;
- la Francia avrebbe aiutato l’Italia con un contingente di 200000 uomini nel caso in cui l’Austria avesse attaccato il Regno di Sardegna.
- Nell’Italia settentrionale sarebbe sorto il Regno d’Alta Italia, retto da Vittorio Emanuele II.
Si noti che l’aiuto militare sarebbe stato concesso solo e soltanto se fosse stata l’Austria ad attaccare. Napoleone III infatti voleva l’appoggio dell’opinione pubblica, mostrando di proteggere un piccolo Stato, come il regno di Sardegna, dall’invasione dell’impero austriaco.
Seconda Guerra d’Indipendenza – 29 aprile – 11 luglio 1859
Si giunge così alla Seconda Guerra d’Indipendenza. I diplomatici austriaci inviano un ultimatum al Regno di Sardegna il 24 aprile 1859. Secondo gli accordi dell’alleanza franco-sabauda, Napoleone III interviene e ricaccia le truppe austriache sino in Veneto. Quando il Veneto sembra poter essere conquistato senza troppe difficoltà, Napoleone III interrompe la guerra e firma l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859). Quali sono i motivi di questo repentino arresto? Ve ne sono diversi:
- in primo luogo il malcontento della popolazione francese, dato il continuo coinvolgimento della Francia in scenari bellici ed il conseguente numero di vittime;
- in secondo luogo il calderone ribollente di moti insurrezionali e patriottici dell’Italia centro-settentrionale che rischia di vanificare gli accordi di Plombières.
I plebisciti di annessione degli Stati centro-settentrionali
Ad ogni modo, oramai è stata innescata una reazione a catena. Tra l’aprile e il giugno del 1859 scoppiano diversi moti insurrezionali che portano alla formazione di diversi governi provvisori. Tali Stati, attraverso lo strumento del plebiscito, votano per essere annessi al Regno di Sardegna tra l’11 e il 12 marzo. Il grafici sottostanti mostrano quali Stati sono coinvolti in questa prima ondata di plebisciti di annessione.
Video-lezione di sintesi 2
La spedizione garibaldina dei Mille
Dalla partenza ai primi successi militari
Dopo l’approvazione attraverso il plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860, con il quale il Regno di Sardegna si annetteva l’Emilia e la Toscana, il margine di manovra diplomatica per l’annessione dei territorio centro-meridionali era pressoché esaurito.
Il nuovo input fu dato dai mazziniani Francesco Crispi (1818-1901) e da Rosolino Pilo (1820-1860), che, convinti di poter sfruttare il malcontento del popolo meridionale per la dominazione borbonica, suggerirono a Garibaldi di recarsi con un’armata nel Sud Italia. Ai vertici della politica sabauda, rispetto alla possibilità di tale spedizione, non vi era identità di vedute tra Vittorio Emanuele II e Cavour. Il primo era favorevole all’impresa, mentre il secondo temeva la reazione internazionale della Francia.
Ad ogni modo, Garibaldi partì nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 con un corpo di 1070 uomini da Quarto (Genova) su due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, diretti verso la Sicilia, con un unico scalo a Talamone per rifornirsi di viveri e armi.
Dopo 5 giorni, l’armata garibaldina, che si era andata ingrossandosi grazie al significativo afflusso di volontari, sbarcava a Marsala. La spedizione conseguì importanti vittorie a Catalafimi, Palermo, Milazzo.
L’appoggio della popolazione e la strage di Bronte
All’inizio le truppe garibaldine potettero godere dell’appoggio dei contadini meridionali. Queste infatti speravano che la caduta del regime borbonico potesse dare loro l’occasione di un riscatto sociale, liberandosi dal latifondismo per ottenere una distribuzione più equa delle terre. Anche la classe dirigente meridionale dimostrava di gradire l’intervento garibaldino, ma per i motivi opposti rispetto a quelli dei contadini. Le classi agiate credevano infatti che il regime borbonico non fosse più in grado di tutelare i loro interessi.
Garibaldi era tuttavia dell’idea che senza l’appoggio dell’aristocrazia terriera, l’impresa dei Mille sarebbe stata destinata a fallire. Prova ne è la strage di Bronte, paese ai piedi dell’Etna. Il 4 agosto del 1860 Nino Bixio, comandante in seconda di Garibaldi, fece arrestare e fucilare 150 rivoltosi che avevano cercato di requisire le terre ai latifondisti per dividerle e redistribuirle.
La presa di Napoli, l’incontro di Teano e ulteriori plebisciti
Nonostante i disordini in Sicilia, Garibaldi continua la sua avanzata. Arriva in Calabria, per poi spostarsi a Napoli, che viene presa senza colpo ferire. Il re, Francesco II, detto Franceschiello per la mancanza di coraggio, si rifugia nella fortezza di Gaeta. Siamo in settembre e l’esercito Sabaudo arriva nelle Marche. Il 26 ottobre 1860 si svolge il famoso incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II nel quale il primo cede la sovranità dei territori conquistati al sovrano.
Finalmente quindi possiamo parlare di Italia in senso politico e non solo geografico. Era nato così, un nuovo Stato in Europa, che contava circa 20 milioni di abitanti. La prima riunione del Parlamento nazionale, eletto tramite sistema censitario, avvenne il 17 marzo 1861. Vittorio Emanuele II venne dichiarato re d’Italia:
per grazia di Dio e volontà della Nazione
Questa particolare formula è particolarmente antica e criticabile, sopratutto nell’Ottocento. L’espressione per grazia di Dio richiama ad una concezione della monarchia come legittimata dal diritto divino. Ancora, l’espressione re d’Italia, e non degli Italiani, faceva intendere una certa distanza dal popolo. Un ultimo aspetto, ancora, merita di attenzione, ovvero il fatto che Vittorio Emanuele II non cambia il nome in Vittorio Emanuele I, il che lascia intendere come egli si concepisca non come il monarca di un nuovo Stato, ma come il Re di Sardegna che ha ampliato i propri possedimenti.
Ad ogni modo, l’unificazione è compiuta, seppur parzialmente. Mancano il Lazio, e dunque Roma, territori dello Stato Pontificio, il Veneto e la Venezia Giulia, il Trentino. Il 6 giugno 1861 moriva poi Cavour, il personaggio risorgimentale che, molto plausibilmente, più di ogni altro aveva contribuito all’unificazione.
Che l’Italia sia unita politicamente non equivale a dire però che essa sia unita ed omogenea dal punto di vista sociale, economico, culturale, o di senso di appartenenza ad un unico Stato, l’Italia. Famosa la frase attribuita a Massimo d’Azeglio:
Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani.
Proprio fare gli italiani sarà uno dei compiti di cui i governi successivi, sia della Destra che della Sinistra Storica, dovranno occuparsi.