In questo articolo trattiamo del filosofo francese René Descartes (italianizzato come Cartesio), vissuto tra il 1596 e il 1650, iniziatore della corrente razionalista.
Indice
Biografia e opere di Cartesio
Biografia (1596-1650)
I primi anni e la formazione (1596-1619)
René Descartes, che viene italianizzato in Cartesio, nasce a La Haye, una cittadina francese della Touraine, il 31 marzo 1596, e viene educato nel collegio gesuitico di La Fléche. Si può affermare che il giovane Descartes già negli anni del collegio gesuitico sentirà l’esigenza di elaborare un metodo che fondi con certezza la conoscenza, metodo che non ravvisava nella formazione ricevuta.
All’età di 25 anni, nel 1619, ebbe, almeno stando alle sue dichiarazioni, una serie di tre sogni che lo portarono ad abbozzare nella sua mente quelle che poi saranno le regole. Proprio nel 1619 infatti – e fino al 1630, Cartesio lavorerà alla stesura delle Regulae ad directionem ingenii.
I viaggi e il Discorso sul Metodo (1620-1637)
Sono gli stessi anni della Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) in Europa, a cui, almeno formalmente, Descartes partecipa. In realtà però il filosofo viaggia a per tutta l’Europa , avendo modo di approfondire il suo pensiero e studiare le scienze, in particolare la fisica e la matematica. Nel 1628 decide quindi di stabilirsi in Olanda, sia per la liberalità di quel Paese, sia per esser lontano dagli obblighi di corte. Qui inizierà un periodo di studio e produzione filosofica. Cartesio inizia in effetti a pensare di scrivere un trattato di metafisica ed uno di fisica. Iniziò dal secondo, che intitolerà Trattato della Luce. Descartes però decide di non pubblicare l’opera. In essa infatti il filosofo si schierava a favore della teoria copernicana, ma la contemporanea condanna di Galilei (22 giugno 1633), lo induce a desistere. O meglio: ne pubblica solo alcuni saggi estratti, sulla Diottrica, sulle Meteore e sulla Geometria. L’insieme di questi tre saggi sarà introdotta da una delle opere filosoficamente più importanti di Descartes, cioè il Discorso sul Metodo (1637).
La stesura e la pubblicazione delle Meditazioni Metafisiche (1640-1641)
Conclusi i lavori di fisica, Cartesio riprende l’idea di un trattato di metafisica, che sarà poi intitolato Meditazioni metafisiche, o Meditazioni sulla filosofia prima. La prima stesura di quest’opera viene inviata, per mezzo della mediazione di Padre Mersenne1, ad un gruppo di teologi e pensatori per poter essere discussa, per poi, finalmente, venire pubblicata nel 1641, in una versione contenente l’opera stessa e arricchita dalle obiezioni dei teologi e relative risposte di Cartesio.
L’ultimo periodo (1641-1650)
L’ultimo periodo della vita di Descartes è caratterizzato principalmente da due opere. La prima è un’edizione del Trattato della Luce dedicata alle scuole, intitolata Principi di Filosofia del 1644. Seguirà poi l’ultima opera, Le passioni dell’anima, nel 1649, un trattato di psicologia. Cartesio morirà poi nel 1650 di polmonite a Stoccolma, dove si era trasferito su invito della regina Cristina di Svezia.
Le opere
Titolo originale | Titolo italiano | Anno di pubblicazione |
Compendium musicae | Compendio musicale | 1618 |
Regulae ad directionem ingenii | Regole per la guida dell’intelletto | 1619-1630 |
La Géométrie | La Geometria | 1637 |
Discours de la méthode | Discorso sul metodo | 1637 |
Meditationes de prima philosophia | Meditazioni metafisiche | 1641 |
Les passions de l’âme | Le passioni dell’anima | 1649 |
Video-lezione di sintesi 1
Le regole
Lo scopo della filosofia cartesiana è precipuamente gnoseologico. Il filoso francese si interroga infatti sulla possibilità di raggiungere un metodo, simile a quello matematico, che possa garantire una conoscenza vera e fondata.
Da questo punto di vista Descartes individua quattro regole nell’opera Regulae ad directionem ingenii. Esse sono:
- l’evidenza: non accettare nessun sapere che non sia chiaro e distinto;
- l’analisi: la scomposizione di una conoscenza nei suoi costituenti elementari;
- la sintesi: la ricomposizione di una conoscenza a partire dai suoi costituenti fondamentali;
- enumerazione/revisione: consiste nel ripercorrere e controllare i passaggi dell’analisi e della sintesi.
L’argomento del Cogito
Dubbio metodico e iperbolico
Lo scopo di Cartesio è quello di fondare un nuovo metodo universale (mathesis universalis) per la produzione della
conoscenza.
Per poter fondare ogni conoscenza, tuttavia, bisogna partire da ulteriori conoscenze e, in particolare, da conoscenze
iniziali che siano certe e indubitabili. Per avere un punto di partenza certo e indubitabile è necessario passare al vaglio del dubbio tutte le nostre conoscenze sensibili e non. In questo caso parleremo di dubbio metodico. Applicare metodicamente il dubbio però non basta. Possiamo arrivare a dubitare della nostra stessa conoscenza: in questo caso parleremo di dubbio iperbolico. Il dubbio iperbolico va ad intaccare quindi la possibilità stessa della conoscenza.
L’ipotesi del genio maligno
Arrivare a dubitare della possibilità stessa della conoscenza (dubbio metodico), equivale ad ipotizzare un genio maligno onnipotente che inganni ogni mio apparato cognitivo. In altri termini Cartesio assume l’ipotesi che ogni percezione ed ogni conoscenza – compresa quella del proprio corpo – non sia che una ingannevole simulazione, un sogno. Come scrive Descartes nel Discorso su metodo:
Io supporrò, dunque, che vi sia […] un certo cattivo genio […] che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni […].
Considererò me stesso come privo affatto di mani, di occhi, di carne, di sangue, come non avente alcun senso, pur credendo falsamente di aver tutte queste cose. Io resterò ostinatamente attaccato a questo pensiero; se, con questo mezzo, non è in mio potere di pervenire alla conoscenza di verità alcuna, almeno è in mio potere di sospendere il mio giudizio.2
Di cosa posso, dunque, essere certo?
L’ ipotesi del genio maligno mina irreparabilmente qualsiasi conoscenza io abbia di me stesso e del mondo che mi
circonda. Non ho, a questo livello, alcuna garanzia di veridicità delle mie cognizioni. Salvo una: se è vero che il genio maligno mi inganna, ne segue che io sono soggetto dell’inganno. Più precisamente si può concludere che, sebbene io venga ingannato su tutto, rimango comunque una sostanza dubitante, quindi pensante (res cogitans).
Quindi, se penso, sono (una sostanza pensante):
Cogito, ergo sum, sive existo
La res cogitans non deve essere intesa come anima in senso mistico-religioso. Va invece intesa come la dimensione mentale, cognitiva.
L’obiezione di Hobbes e risposta di Cartesio
L’argomento del cogito è stato messo in discussione da Hobbes: il soggetto pensante non è, necessariamente, pensiero. Hobbes dichiara infatti che se dall’affermazione «io sono una cosa pensante» si fa derivare la conclusione «io sono un pensiero», lo stesso potrebbe valere allora anche per quest’altra deduzione: «io sono passeggiante, quindi sono una passeggiata».
La risposta di Cartesio è sottile: egli afferma che il pensare (essere capace di pensiero) è un’attività eccezionale (Cioè fa eccezione). Il pensiero non è un’oggetto bensì un’attività, anche quando, ingannandoci con la grammatica dei sostantivi, lo consideriamo come un’oggetto. Non esiste pensiero che non sia anche un pensare. In questo senso produrre un pensiero si identifica con il pensare.
La classificazione delle idee e l’idea di Dio
Prima di continuare con l’argomentazione del Cogito è opportuno preliminarmente occuparsi della classificazione delle idee proposta da Cartesio. Egli classifica le idee in tre tipologie:
- avventizie: sono quelle idee che provengono dall’esterno;
- fattizie: sono idee artefatte, ovvero idee di cose da noi create e fantasiose come gli animali mitologici (ippogrifo);
- innate: si definiscono per esclusione dalle altre due precedenti. Sono idee che non provengono dall’esterno e si ritrovano a priori nella mente umana. A questa categoria appartengono le idee matematiche e l’idea di Dio.
L’idea di Dio e la sua origine e la prova di Anselmo d’Aosta
L’idea di Dio, in quanto innata, non proviene dall’esterno, non proviene dall’esperienza. Innanzitutto, però, qual è questa idea di Dio? Cartesio afferma che l’idea di Dio fa parte di una dotazione innata dell’uomo. Egli sostiene che essa è presente nella mente di ogni uomo nello stesso modo: l’idea di una entità onnipotente, onnisciente, eterna, immutabile. Tutti gli attributi espressi al massimo grado. In questo senso Cartesio afferma che questa idea proviene da Dio stesso e argomenta a favore di questa tesi con tre argomentazioni (fallaci):
- L’uomo è imperfetto, l’idea di dio è perfetta. Pertanto deve provenire da un essere perfetto.
- L’uomo non è causa sui. Deve esserci un’altra causa: questa è Dio.
- Un’entità perfetta non può avere esistenza solo mentale.
La prova ontologica di Anselmo d’Aosta…
Se ci soffermiamo sull’ultimo argomento, ovvero che un’entità perfetta non può avere un’esistenza solo mentale, ci rendiamo conto che Cartesio riprende la prova ontologica di Anselmo d’Aosta. Questa prova è contenuta nel Proemio del Proslogion, nel quale Anselmo scrive:
O Signore, tu non solo sei ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (non solum es quo maius cogitari nequit), ma sei più grande di tutto ciò che si possa pensare (quiddam maius quam cogitari possit) […]. Se tu non fossi tale, si potrebbe pensare qualcosa più grande di te, ma questo è impossibile.
In altri termini Anselmo afferma che è possibile pensare a qualcosa che sia più grande di qualsiasi altra cosa. Ma, facendo ciò includeremmo l’esistenza, altrimenti vi sarebbe qualcosa di altrettanto grande, ma esistente, che dunque sarebbe più grande. Il che porta ad una contraddizione, da cui Anselmo desume l’esistenza di Dio. Si noti che che questa è una prova a priori dell’esistenza di Dio.
…e i cento talleri di Kant
La criticità di questa prova verrà messa in evidenza da Kant, nel famoso esempio dei cento talleri:
[…] se io prendo il soggetto (Dio) con tutti insieme i suoi predicati (ai quali appartiene anche l’onnipotenza), e dico: Dio è, ? c’è un Dio, io non affermo un predicato nuovo del concetto di Dio, ma soltanto il soggetto in sé con tutti i suoi predicati, e cioè l’oggetto in relazione col mio concetto. Entrambi devono avere esattamente un contenuto identico, e però nulla si può aggiungere di più al concetto, che esprime semplicemente la possibilità, per il fatto di pensare l’oggetto come assolutamente dato (con l’espressione: egli è). E così il reale non viene a contenere niente più del semplice possibile. Cento talleri reali non contengono assolutamente nulla di più di cento talleri possibili. Perché, dal momento che i secondi denotano il concetto, e i primi invece l’oggetto e la sua posizione in sé, nel caso che questo contenesse più di quello, il mio concetto non esprimerebbe tutto l’oggetto, e però anch’esso non ne sarebbe il concetto adeguato. Ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c’è più che nel semplice concetto di essi (cioè nella loro possibilità)3.
In altri e più sintetici termini Kant sta affermando che l’esistenza non è un predicato. Possiamo connotare un concetto quanto ci pare, ma questo lo rende al massimo possibile, non ne implica l’esistenza, proprio come pensare a cento talleri non implica che io disponga effettivamente di quella cifra di denaro, cioè che quei cento talleri esistano.
Dio come garante della conoscenza
Arrivato – in qualche modo – a dimostrare l’esistenza di Dio, Cartesio può riprendere l’argomento del Cogito al fine di arrivare ad una garanzia sulle nostre possibilità conoscitive. In sostanza Descartes afferma che Dio, proprio in virtù della sua perfezione (anche morale), non può ingannarmi. Le facoltà che egli ci ha dato, se condotte secondo il metodo e le regole, non ci portano all’errore. Come egli scrive4:
[… ] essendo Dio sovranamente buono e la fonte di ogni verità, poiché è Lui che ci ha creati, è certo che la potenza o facoltà che ci ha data per distinguere il vero dal falso non sbaglia, quando ne usiamo bene e quando ci mostra con evidenza5 che la cosa è vera.
Il dualismo res cogitans–res extensa
Come si è visto, il ragionamento di Cartesio porta ad un rigido dualismo tra due tipi di sostanze. La res cogitans è garantita dal fatto stesso di dubitare, mentre la res extensa6 è garantita da Dio. Riguardo alla res extensa poi, Descartes accetta la distinzione tra proprietà oggettive e soggettive, già presentata da Galilei e Democrito. Tuttavia qual’è la differenza tra res cogitans e res extensa?
- la res cogitans, cioè la sostanza pensante, è incorporea, inestesa, consapevole e libera;
- la res extensa, cioè la sostanza estesa, è corporea, situata nello spazio, inconsapevole e non è libera7.
La ghiandola pineale
Il dualismo tra sostanza pensante ed estesa rimane tuttavia una aspetto critico della filosofia cartesiana. Se pensiamo, ad esempio, che un mio pensiero possa causare il movimento del mio braccio, allora si pone il problema di capire come la dimensione del pensiero e quella materiale possano interagire, dato che lo fanno.
La soluzione cartesiana è del tutto fantasiosa. Descartes afferma che a costituire la zona di contatto tra res cogitans e res extensa sia una particolare ghiandola situata all’interno del cervello, la ghiandola pineale, ovvero l’epìfisi.
Occorre pur sapere che, per quanto l’anima sia congiunta a tutto il corpo, c’è tuttavia in questo qualche parte in cui essa esercita le sue funzioni in modo più specifico che in tutte le altre; e si crede comunemente che tale parte sia il cervello, o forse il cuore: il cervello, perché con esso sono collegati gli organi di senso; il cuore perché ci sembra di sentire in esso le passioni. Ma esaminando la cosa con cura, mi sembra di aver stabilito con evidenza che la parte del corpo in cui l’anima esercita immediatamente le sue funzioni non è affatto il cuore, e nemmeno tutto il cervello, ma solo la parte più interna di esso, che è una certa ghiandola molto piccola, situata in mezzo alla sua sostanza, e sospesa sopra il condotto attraverso cui gli spiriti delle cavità anteriori comunicano con quelli delle posteriori, in modo tale che i suoi più lievi movimenti possono mutare molto il corso degli spiriti, mentre inversamente, i minimi mutamenti nel corso degli spiriti possono portare grandi cambiamenti nei movimenti di questa ghiandola8.
Perché la ghiandola pineale?
L’unico motivo per il quale il filosofo francese sceglie questo organo è che, esso, all’interno del Cervello, è l’unica parte non divisa simmetricamente in due emisferi. Questa unità della ghiandola avrebbe suggerito a Cartesio il suo ruolo nell’unificare quel dualismo. Come egli scrive9:
Come si vede che questa ghiandola è la principale sede dell’anima.
Mi sono convinto che l’anima non può avere in tutto il corpo altra localizzazione all’infuori di questa ghiandola, in cui esercita immediatamente le sue funzioni, perché ho osservato che tutte le altre parti del nostro cervello sono doppie, a quel modo stesso che abbiamo due occhi, due mani, due orecchi, come, infine, sono doppi tutti gli organi dei nostri sensi esterni. Ora, poiché abbiamo d’una cosa, in un certo momento, un solo e semplice pensiero, bisogna di necessità che ci sia qualche luogo in cui le due immagini provenienti dai due occhi, o altre duplici impressioni provenienti dallo stesso oggetto attraverso gli organi duplici degli altri sensi, si possano unificare prima di giungere all’anima, in modo che non le siano rappresentati due oggetti invece di uno: e si può agevolmente concepire che queste immagini, o altre impressioni, si riuniscano in questa ghiandola per mezzo degli spiriti che riempiono le cavità del cervello; non c’è infatti nessun altro luogo del corpo dove esse possano esser così riunite, se la riunione non è avvenuta in questa ghiandola
L’occasionalismo
Al di là della veridicità delle tesi o della bontà logica degli argomenti di Descartes, il cartesianesimo ha avuto un profondo influsso sulla cultura a lui contemporanea e, per certi versi, continua ad averla anche oggi con il problema mente-corpo. Il problema dell’unificazione tra res cogitans e res extensa, di fatto estranee l’un l’altra, fu affrontato anche da filosofi a lui coevi. Tra questi Arnold Geulincx e Nicolas de Malebranche (1639-1715). Reputando altamente insoddisfacente la soluzione della ghiandola pineale, questi filosofi svilupparono un’idea nota come occasionalismo, che definiamo subito sotto10.
Occasionalismo |
Si intende con occasionalismo la dottrina che, nel rapporto di dipendenza di un fenomeno da un altro fenomeno, vede soltanto una causa occasionale rispetto all’unica causa reale costituita dall’azione dell’universale principio divino. In particolare, o. è il complesso di dottrine che, dopo la distinzione cartesiana delle due sostanze (res cogitans e res extensa), cercò di spiegare il rapporto tra psichico e corporeo, e che viene perciò anche chiamato più specificamente o. psicofisico. |
L’occasionalismo ha dato origine a quella concezione del Dio orologiaio. Dio, proprio come un orologiaio che deve manutenere e sincronizzare l’orologio, si occupa di sincronizzare gli atti della res cogitans con quelli della res extensa ogni volta che se ne presenta l’occasione.